Manlio Milani, che ha perso la moglie nella strage di piazza della Loggia a Brescia, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, si è reso disponibile a un incontro con Maurizio Tramonte, ex militante di estrema destra ed ex informatore dei servizi segreti che sta scontando in carcere la condanna all’ergastolo per l’attentato del 28 maggio 1974 in cui morirono otto persone e ne rimasero ferite altre 102. "Lui ha risposto di no – ha spiegato Milani – ed è un peccato perché per me sarebbe importate avere determinate risposte che può dare solo colui che ha commesso il fatto. A distanza di tanti anni ci sono punti ancora da chiarire, e vederemo che cosa emergerà dai prossimi processi". Un tentativo di dialogo respinto al mittente emerso durante l’incontro con i tremila studenti al Centro Asteria, al quale ha partecipato anche Manlio Milani, tra i protagonisti di percorsi di giustizia riparativa. Nato a Brescia nel 1938, dopo aver perso la moglie e alcuni amici nella strage ha avviato un lavoro di ricerca delle ragioni dell’attentato e di elaborazione della memoria. Nel 2000 ha fondato a Brescia la Casa della Memoria, centro di documentazione sulla strage bresciana e gli anni del terrorismo. Sulla strage del 1974 non è ancora scritta la parola fine, con un beffardo gioco dell’oca davanti alla giustizia, a distanza di mezzo secolo. Il Tribunale dei minorenni, accogliendo l’eccezione dell’avvocato Marco Gallina, ha infatti dichiarato nullo il secondo decreto di rinvio a giudizio per il 67enne veronese Marco Toffaloni, che oggi vive in Svizzera a nome di Franco Maria Muller ed è accusato di avere piazzato il 28 maggio 1974, allora sedicenne, la bomba nel cestino dei rifiuti nel cuore di Brescia. Un errore procedurale invalicabile ha imposto il ritorno del procedimento alla fase delle indagini preliminari, cui seguirà la fissazione di un’altra udienza preliminare - la terza - davanti a un terzo gup.
"Toffaloni all’epoca era minorenne – spiega Milani – e tanti minorenni come lui sono entrati in quella logica di violenza. Come è possibile? Che cosa li ha spinti?". Manlio Milani, all’epoca iscritto al Partito comunista e sindacalista della Cgil, era in piazza della Loggia quando scoppiò la bomba, tra la folla di persone riunita per manifestare contro il terrorismo neofascista.
"Mi ero separato per un istante da mia moglie – ricorda – quando ho sentito il boato e mi sono trovato immerso nella tragedia. Ho accompagnato mia moglie in ospedale. Poi mi hanno detto che era morta, e con lei i nostri amici. L’obiettivo di quella bomba era colpire tutti, per colpire la democrazia".
Dal dolore è nato l’impegno per la memoria, seguendo anche un’odissea giudiziaria non ancora conclusa. "Anche le vittime – racconta al fianco dell’ex brigatista Franco Bonisoli – rischiano di restare chiuse nelle gabbie, prigioniere del rancore e della vendetta. Se c’è un punto di congiunzione tra lo stragismo di destra e la lotta armata delle Br è il rifiuto della Costituzione, la negazione del pluralismo, il non accettare l’idea dell’altro". Una riflessione, rispondendo alla domanda di uno studente, è anche rivolta alle attuali manifestazioni studentesche, e all’episodio delle manganellate contro minorenni a Pisa. "Condivido la spinta dei giovani ad andare in piazza per essere ascoltati – conclude –. Ogni manifestazione non deve oltrepassare un limite, non ci devono essere atti di violenza".
Andrea Gianni