CLAUDIO
Cronaca

L’adolescenza e i dolori (veri) del crescere

L'articolo narra il rito di passaggio di Claudio Negri dalla pubertà all'età adulta, confrontando la sua esperienza con quella dei giovani guerrieri spartani. La transizione per lui si manifestò nel passaggio dai pantaloni corti ai jeans lunghi, simbolo di maturità e accettazione sociale.

L’adolescenza e i dolori (veri) del crescere

L'articolo narra il rito di passaggio di Claudio Negri dalla pubertà all'età adulta, confrontando la sua esperienza con quella dei giovani guerrieri spartani. La transizione per lui si manifestò nel passaggio dai pantaloni corti ai jeans lunghi, simbolo di maturità e accettazione sociale.

Negri

è da sempre, ai primi turbamenti della pubertà, un certo rito di passaggio. A Sparta, 2.500 anni fa, se avevi la fortuna di essere nato nella parte eccelsa della società, da adolescente guerriero saresti andato in giro, in un giorno prefissato per delibera municipale, a cercare un ilota, cioè uno schiavo. Per accopparlo. Un atto meritorio e a norma di legge spartana. Avresti insomma dimostrato il tuo valore di maturando guerriero. Ammazzando un uomo. Incredibile, ma vero. Morto un ilota se ne fa un altro: doveva essere un proverbio in voga, tra gli spartani. Basta, sto divagando.

Invece che a Sparta, millenni fa, sono nato in una parte fortunata del pianeta, in tempi diversi. Il rito di passaggio, per i garzoncelli della mia generazione, si limitava a un paio di pantaloni lunghi. A quei tempi, fino alle soglie della pubertà, le brache erano tassativamente corte. Anche nel più crudo inverno. E quelli erano inverni seri. Ma non avevamo freddo, ci eravamo abituati. Le nostre scorribande nebbiose tra campagna e cortile portavano le stimmate di ginocchia perennemente sbucciate. Avevamo pelle di serpente, almeno sulle rotule. Il mio primo paio di brache lunghe mi fu comprato in seconda media. Blue jeans. Ero così impaziente di indossarli e di sentirmi ufficialmente grande, che rimboccai da solo l’orlo, più volte: sembravano gli stivali del gatto della fiaba. Uscii così, ingolfato ai polpacci. Ma mi sentivo uomo fatto. Camminai per un intero pomeriggio, una mezza maratona tra l’ammirazione cialtronesca, sorniona dei coetanei. E lo stupore delle ragazzine. Una accettò addirittura di darmi un passaggio sul portapacchi della sua Graziella. Ma la ragazzina sbandò in un improvviso scarto di pedali e io finii a terra, sdrucendo orrendamente i jeans nuovi. Mi parve che in strada ci fosse mezzo mondo a deridermi. Per qualche giorno dovetti tornare a indossare le brache corte. Fu come regredire alla fanciullezza.