ANNA MANGIAROTTI
Cronaca

Giuseppe Iannaccone, avvocato e collezionista: “Milano, in questa città che cambia ho realizzato i miei sogni”

Il racconto della sua vita nella metropoli, dalle cause alle mostre: io, al Parini dalla periferia. Processo del secolo? Il crac del Banco Ambrosiano

Iannaccone racconta la sua vita nella metropoli, dalle cause alle mostre

Iannaccone racconta la sua vita nella metropoli, dalle cause alle mostre

Aver chiesto a Giuseppe Iannaccone d’incontrarlo a Palazzo Reale, dove sono in mostra fino al 4 maggio 140 opere (delle oltre 450 della sua collezione), all’inizio del percorso, davanti alle immagini di Vezzoli che gioca con le lacrime, non è casuale.

Quando arrivò a Milano per la prima volta davvero si mise a piangere?

"Sì, prima e unica volta. Nel settembre 1972 mio padre era stato trasferito dal Monopolio di Stato a lavorare, e risiedere, nella Manifattura Tabacchi. Basso e giallo complesso in cemento, tra i viali Suzzani e Fulvio Testi e le vie Esperia e Santa Monica, costruito tra ’29 e anni ’50".

Oggi riqualificato in moderno polo cine-audiovisivo.

"Allora, circondato dalla campagna. Pratocentenaro, il quartiere. Estrema periferia nord. Inospitale. Con le luci accese, mi sentivo come in autostrada. Avevo vissuto prima a Napoli e a Bari. Finire qui a 16 anni, seppur con un’amorosa famiglia, mamma, papà, due fratelli maschi e una sorella, mi gettò nella disperazione".

Finché...

"Incominciai a frequentare il Parini, il liceo più severo della città. Così avevano preteso i miei genitori. Mi feci tanti amici. Sono rimasti tali, ancora. Soprattutto, quella scuola mi fece apprezzare Milano. Per arrivarci, con lungo tragitto, dovevo prendere il tram numero 2. Nella nebbia mattutina lo potevo sentire solo sferragliare, mentre si avvicinava. Invisibile fino all’ultimo momento. E m’innamorai del grigiore ambrosiano".

Simbolo di sobrietà.

"Anche allo stadio, dove sedevo nell’anello più alto, tra “i popolari”, la nebbia m’impediva di vedere i gol spettacolari del grande Facchetti".

Interista?

"No! E neppure milanista. La mia squadra del cuore è il Napoli: da Facchetti si prendeva quei gol che ci facevano perdere la partita".

Ma da milanese-napolista approva la prevista demolizione dello stadio Meazza?

"Per me, intanto, resta San Siro. Un nome che Vecchioni ha reso immortale con “Luci a San Siro” (anche se il gioco dentro la nebbia descritto nella canzone era quello degli innamorati sull’omonima montagnetta, ndr). Invece, il San Paolo di Napoli benissimo hanno fatto a ribattezzarlo Stadio Diego Armando Maradona. Dell’immenso goleador ho commissionato ad artisti ritratti che tengo nel mio studio, affacciato su piazza san Babila".

Penalista-collezionista, lei è “l’Avvocato“ per i milanesi (titolo che, a differenza dei torinesi, non avrebbero riconosciuto a Gianni Agnelli, mai abilitato alla professione). Alla sua strategia ricorrono tanti vip. Quale processo ricorda con più orgoglio?

"Per il crac del Banco Ambrosiano mi affidò la sua difesa l’avvocato Peppino Prisco, il più milanese degli avvocati. Devoto degli Alpini. Con loro aveva combattuto nella Campagna di Russia".

Uno dei soli tre ufficiali sopravvissuti. Del suo battaglione tornarono in 159, su 1.700 anime.

"Tra gli scomparsi, il pittore Arnaldo Badodi, che gli aveva regalato “Ballerine” (1938). E a me: “Tieni, tu ami questo quadro, è giusto che lo abbia tu” mi disse nel donarmelo".

In effetti, “Una caccia amorosa. Arte italiana tra le due guerre nella collezione Giuseppe Iannaccone” titolava il suo primo libro nel 2010.

"Raccontavo come la mia collezione è cresciuta, via via che la professione mi ha baciato dandomi la disponibilità economica di coltivare sempre più le mie passioni. Un libro dedicato a questa meravigliosa città..."

Intende Milano?

"Ovvio, sempre in trasformazione, sempre migliorando. Milano mi ha dato tanto, e volevo che si accorgesse anche della mia collezione".

A presentare la mostra in corso a Palazzo Reale, sapientemente curata da Daniele Fenaroli: “Da Cindy Sherman a Francesco Vezzoli 80 artisti contemporanei”, c’era addirittura il sindaco Sala. Per dire “tutta la gratitudine della città a questo appassionato collezionista milanese che attraverso la sua Fondazione concepisce l’arte anche come bene condiviso e strumento di crescita sociale”.

"Per me è stato come ricevere l’Ambrogino d’oro".

In un’altra battuta, cosa insegue collezionando dai primi anni ’90?

"La verità dell’animo umano. Ciò che l’uomo ha di più caratteristico, bello o brutto che sia".

Dovunque?

"In questa mostra è piaciuta la narrazione intorno alla figura nera, nella tessitura di tradizioni e prospettive ed esperienze umane diverse. A Milano, per primo, mi sono trovato in una città aperta".

Dopo il primo pianto, solo sorrisi?

"Sì, perciò, tra gli outsider Anni Trenta, i primi che ho inseguito, mi ritrovo nelle opere di Renato Birolli: la stinta periferia milanese dove abitava, con colori incandescenti, l’ha trasfigurata in Eldorado".