Com’era prevedibile, lo sgombero del Leoncavallo non è andato in scena neppure ieri mattina. Alle 10.34 è arrivato l’ufficiale giudiziario per notificare l’ordinanza di rilascio dell’immobile, come già fatto per 129 volte negli ultimi 19 anni, ma dopo qualche minuto è andato via con l’ennesimo rinvio al 24 gennaio 2025. In via Watteau si sono ritrovate circa 300 persone, che hanno risposto all’appello dei collettivi del centro sociale per “difendere” lo spazio pubblico occupato dal 1994. In realtà, non era prevista la presenza delle forze dell’ordine (al netto di un monitoraggio a distanza degli agenti in borghese di Digos e commissariato Greco Turro) per eseguire lo sfratto, in attesa che su altri tavoli si trovi un’intesa per chiudere la questione. L’impasse potrebbe essere rotta dalla ripresa della trattativa tra Comune e proprietari. Un dialogo reso ancor più urgente dalla recente sentenza della Corte d’appello del Tribunale civile, che il 9 ottobre ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire 3 milioni di euro alla famiglia Cabassi per il mancato sgombero. Per i giudici, “il rifiuto di assistenza della forza pubblica all’esecuzione dei provvedimenti del giudice, che sia determinato da valutazioni sull’opportunità dell’esecuzione medesima, costituisce un comportamento illecito lesivo del diritto alla prestazione e come tale generatore di responsabilità dalla parte della pubblica amministrazione”.
Daniele Farina, storico esponente del Leoncavallo, è pronto a riprovarci: «Mettere a terra soluzioni: questo è il lavoro da fare nei prossimi mesi». Il riferimento è alla regolarizzazione del centro sociale che dal 1994 occupa l’ex cartiera di via Watteau, di proprietà dei fratelli Cabassi, nel quartiere di Greco. Insieme a lui, anzi persino più di lui, sono pronte a riprovarci le associazioni e le giovani leve del Leoncavallo: «Sarebbe grottesco se fosse la mia generazione a mandare avanti il Leonka – ammette Farina –. Questo spazio riesce a stare nel proprio tempo grazie al ricambio generazionale».
Farina, nelle scorse settimane il sindaco Giuseppe Sala si è detto favorevole alla riapertura di un tavolo per regolarizzare il centro sociale. Ci sono stati contatti col Comune?
«Ci sono stati dei primi incontri tra le associazioni del Leoncavallo e l’assessorato comunale all’Urbanistica. Speriamo si possa arrivare a tratteggiare una soluzione entro il 24 gennaio 2025 (data alla quale è stato rinviato lo sfratto ndr). Io ho scambiato qualche parola in merito col sindaco prima che fosse nota la sentenza della Corte d’Appello, nei giorni della scomparsa di Licia Pinelli, e mi ha detto esattamente quello che ha poi dichiarato pubblicamente».
Sareste disposti a lasciare via Watteau se fosse proposta una sede alternativa?
«Siamo aperti al dialogo per trovare una soluzione che ponga fine al girovagare del Leoncavallo e consenta a Milano di non perdere uno spazio pubblico di scambio generazionale, capace di tenere insieme attività culturali, formative e politiche. Il problema per noi non sono i muri. O meglio, non lo sarebbero. Il punto è che Milano è cambiata rispetto a 30 anni fa, non è più la città che conta 10 milioni di metri quadrati di aree industriali dismesse, non c’è più quella disponibilità straordinaria di spazi da destinare all’uso pubblico. Oggi è la città in cui si costruisce anche dentro i cortili, una città satura da questo punto di vista. Ma noi ci siamo. Mettere a terra soluzioni: questo è il lavoro per i prossimi mesi».
Il centrodestra pone il tema del rispetto della legalità: siete occupanti abusivi.
«Al centrodestra la legalità piace a corrente alternata. Lasciamoli invecchiare in pace e cerchiamo una via per riconoscere diritti e valori di tutte le parti».
A proposito: come risponde a chi sostiene che il Leoncavallo sia ormai fuori dal tempo?
«La vicenda del Leoncavallo continua ad essere sovraccaricata di simboli e simbolismi. Il dato di realtà è che al presidio di stamattina (ieri mattina ndr) c’erano tanti giovani e altrettanti sono quelli che frequentano il Leonka, che vi organizzano attività di diverso tipo: qui c’è la più antica scuola di italiano per stranieri della città. Attività perfettamente integrate nel quartiere e nella città. Pensi che è in corso un carteggio con l’Archivio di Stato per vincolare e salvaguardare l’archivio storico del Leoncavallo: manifesti, foto, video, articoli di giornale che raccontano decenni di vita e confronto politico... siamo dentro la città, è evidente. Ma perché se ne possa parlare occorre una sentenza di un tribunale: l’albero che cade fa più rumore della foresta che cresce. Quando sento parlare di “galassia antagonista“ faccio fatica a focalizzare. Qui siamo gente di buon senso, il Leoncavallo è un incubatore di possibilità per i giovani. Lo è stato per la mia generazione e deve continuare ad esserlo per le prossime. Un altro dato che testimonia il percorso fatto in questi anni è che al presidio di oggi (ieri ndr) ci fosse il terzo settore ma pure il sindacato. Mondo del lavoro e condizione giovanile insieme: non è un fatto scontato. Nel tempo culture diverse si sono avvicinate».
C’era anche la politica...
«Spero che la politica in Consiglio comunale batta un colpo. Col sindaco Giuliano Pisapia la soluzione si era avvicinata, poi saltò tutto per le asperità interne alla maggioranza. E il fatto che quella Giunta fosse vicina alla fine del mandato non aiutò».
Allora come oggi si teme l’effetto precedente: se si regolarizza il Leonka, lo si dovrà fare con chiunque lo chieda.
«In questi anni in altre città si sono trovate soluzioni che sembravano impossibili, cito su tutti il caso di Torino e dell’accordo sui Murazzi, tempio dell’antagonismo. Milano su questo fronte è rimasta indietro rispetto alle città europee e ad altre città italiane».