
L’ennesima notifica. In alto, il portone della vecchia sede di via Leoncavallo
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Milano - Il viavai all’ingresso, alle 10.30 di una mattina assolata che è preludio di un’altra giornata afosa, è corollario di un rito che al Leoncavallo spazio pubblico autogestito di via Watteau 7 si compie per la centodecima volta: tanti, secondo fonti del Giorno, sono i passaggi dell’ufficiale giudiziario che ha bussato al portone nell’arco di quasi 20 anni sempre per notificare l’ennesima richiesta di sgombero. Solo, senza intervento della forza pubblica che la renderebbe efficace. Nulla di fatto anche ieri.
Notifica che pare carta straccia visto che tutto resta tale e quale: una gigantesca questione irrisolta dal 1994, anno in cui la ex cartiera in zona Greco è stata occupata, dopo le precedenti invasioni in via Salomone e l’originaria in via Leoncavallo, nel 1975. E la sentenza esecutiva dello sgombero del Leoncavallo risale al 2003: pende da allora la spada di Damocle, allontanata a intermittenza nel corso degli anni da proposte e tentativi di regolarizzazione che però sono naufragati.
E adesso sul futuro del Leonka tutto tace. Non se ne parla più in Consiglio comunale, non si profilano piani all’orizzonte. Eppure sembrava quasi fatta nella primavera del 2015, in epoca Pisapia (che aveva promesso la regolarizzazione del sito in campagna elettorale), quando sul tavolo era pronto l’accordo di permuta immobiliare tra il Comune e il gruppo Cabassi, la proprietà: i Cabassi avrebbero acquisito due immobili comunali, in via Trivulzio e in via Zama, e in cambio Palazzo Marino avrebbe avuto la sede del centro sociale. Che sarebbe rimasto sul territorio a disposizione della cittadinanza (e le associazioni del Leoncavallo sarebbero state disposte a pagare un affitto).
Ma la delibera saltò: non fu approvata in Consiglio comunale entro l’ultima data utile. Tutto da rifare. E la proprietà è tornata a chiedere che le fosse restituito il suo bene. Era ottobre del 2018 quando in un comunicato stampa diffuso dalla famiglia Cabassi, tramite la società L’Orologio Srl, si leggeva: "Non sussistono i presupposti per costruttive interlocuzioni". "Anche in forza di tre sentenze esecutive dell’autorità giudiziaria, L’Orologio ha sempre richiesto il rilascio del proprio immobile, illegittimamente occupato".
Tutte le "richieste di sgombero" (arrivate a quota 89) erano "rimaste infruttuose a causa del rifiuto da parte degli occupanti di rilasciare spontaneamente l’immobile e del mancato intervento della forza pubblica". Resta in corso la guerra fredda. E l’ufficiale giudiziario continua a bussare. La questione Leonka si era riaffacciata in Consiglio comunale a ottobre del 2019, durante il primo mandato Sala, nei giorni di discussione del Pgt: nella prima versione, il centro sociale era stato classificato come "servizio privato-spazi socio culturali e ricreativi".
Definizione contestata da un cittadino, molto probabilmente vicino ai Cabassi, il quale aveva evidenziato come "l’insediamento di detto centro sia del tutto illegittimo, in immobile privato, senza che sia mai stato sottoscritto alcun atto di asservimento, convenzionamento o accreditamento per l’uso o l’interesse pubblico generale del bene". Ergo: definizione eliminata, "il centro sociale Leoncavallo non è un servizio di interesse pubblico o generale". E ora? "Siamo ancora occupanti", riporta leoncavallo.org.
Nei giorni scorsi è comparso l’annuncio: "Il 29 giugno l’ufficiale giudiziario e gli avvocati della proprietà tenteranno di procedere. Nessuno sgombero fermerà mai la nostra rabbia e la nostra gioia di lottare!". Negli spazi di via Watteau il collettivo "continua la lotta antifascista", è scritto sulla pagina Facebook, porta avanti la missione per l’"ospitalità e l’integrazione di immigrati e dei senza voce, l’incontro tra generazioni diverse organizzando dibattiti politici, serate di elettronica, jazz, reggae, hardcore e cinema, alternando corsi di teatro e di musica".
Ma sempre in una veste d’illegalità. "Un fatto vergognoso – commenta l’assessore alla Sicurezza di Regione Lombardia, Riccardo De Corato – : la sentenza esecutiva firmata dal Tribunale nell’ormai lontano 2003 e riconfermata l’anno successivo, non ha, in pratica, valore. I fuorilegge continuano indisturbati a occupare abusivamente una proprietà privata".