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Altro che porridge: viaggio nella letteratura (culinaria) inglese

Il volume, "Non solo porridge: letterati inglesi a tavola", ispirato da Expo, mette a nudo i grandi scrittori e le loro manie gastronomiche di GIUSEPPE DI MATTEO

Viaggio nella letteratura culinaria inglese a Milano

Milano, 20 febbraio 2016 - Una storia della letteratura inglese ripercorsa sulla soglia di una cucina che  spalanca la finestra e guarda il mondo cambiare a cavallo dei secoli. Non solo porridge: letterati inglesi a  tavola (Mimesis) non è solo un libro di ricette, ma offre uno spaccato interessante del panorama culinario  d’oltremanica, spesso considerato gramo e piovoso al pari dei suoi abitanti. Nulla di più sbagliato, come  dimostrato da questo viaggio succulento dal Trecento a oggi. 

Il volume, curato da Francesca Orestano, docente di letteratura inglese dell’Università Statale di Milano,  presentato ieri, si snoda lungo una raccolta di saggi che mettono a nudo un grande del suo tempo  illustrandone aspetti curiosi legati al cibo, meno noti eppure in grado in qualche caso di influenzarne addirittura lo stile di scrittura. Non potrebbe essere altrimenti: da sempre la buona tavola è specchio di modi di pensare e convenzioni sociali, naturalmente a seconda dei ceti di appartenenza. Così, si scopre che lo scrittore americano Henry James, che a fine Ottocento aveva lasciato gli Stati Uniti per venire a vivere in Inghilterra, era ossessionato dal terrore di ingrassare, ragion per cui si affidò a Horace Fletcher (a quei tempi un guru della buona alimentazione) per cercare di dimagrire. Il metodo consisteva nel masticare a lungo per aumentare il senso di sazietà e ridurre le porzioni. I risultati furono deludenti, tanto che James in poco tempo ritrovò gusto per il cibo e la rotondità corpulenta. II suo stile letterario, però, ne risentì:  durante la revisione delle sue opere, lo scrittore aveva infatti l’abitudine di ritornare più volte sulle parole  già scritte, come se le stesse masticando. 

I cultori di Masterchef saranno invece sopresi di trovare un suo antenato sui generis nel XIV secolo: stiamo parlando di Roger di Ware, descritto nei celebri Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer, personaggio  realmente esistito che offre un affresco interessante della cucina medievale inglese, ricca di spezie e molto  agrodolce, ma racconta anche pregi e difetti del cuoco, conoscitore della birra e incline ai peccati di gola.  Non potevano mancare altri mostri sacri: su tutti Shakespeare che, con la sua Tempesta, commedia in  cinque atti scritta tra il 1610 e il 1611, e ambientata in un’isola imprecisata del Mediterraneo ricca di  prodotti esotici, tratteggia l’Inghilterra del suo tempo, caratterizzata da rigide divisioni sociali e anticamera di tensioni che ben presto esploderanno. Anche gli appassionati della dieta vegetariana potranno annoverare un precursore d’eccezione: Percy Bisshe Shelley, poeta e filosofo inglese nato a fine Settecento, fiero oppositore del consumo di carne sulla base di alcuni studi filosofici (secondo Pitagora macellare un animale significava commettere un crimine contro natura) e di anatomia. Significativo anche il  saggio su Charles Dickens, affamato del cibo di strada. Eppure, anche quando potrà permettersi ristoranti di  livello, la delusione sarà palpabile: poca cura e approssimazione. Per il nostro c’era molto da imparare dai  francesi. E stupisce anche che un’autrice come Virginia Woolf, nata nel crepuscolo dell’Inghilterra  vittoriana, consideri la cucina più interessante della stesura dei suoi romanzi. Il volume si conclude con due  brevi incursioni nel mondo contemporaneo. Il Diario di Bridget Jones, scritto nel 1995 da Helen Fielding,  parla dell’anti-eroina schiava del cibo spazzatura e delle diete, mentre Coraline di Neil Gaiman (2002) rimette in discussione i valori familiari tradizionali, che rimangono tali anche quando un pasto a base di  prodotti surgelati si sostituisce a piatti appetitosi. Ogni saggio è corredato di alcune ricette, caso mai  qualcuno avesse la tentazione di chiedere aiuto alla letteratura per stupire a tavola.

Un itinerario lungo e divertente, nato dalla passione degli anglisti dell’università e da pranzi conviviali nel sottotetto di Piazza S. Alessandro, a due passi dalla facoltà. “Ci siamo ispirati a Expo - spiega Francesca  Orestano - perché siamo rimasti affascinati dal modo in cui si è parlato di un tema complesso come  l’alimentazione, e direi che con il nostro libro siamo entrati in un filone nuovo, quello della gastrocritica”. Il  volume è già stato adottato da un istituto alberghiero in Piemonte. E chissà che non diventi una Bibbia laica di format futuri. “Volevamo uscire dal recinto accademico - spiega una delle autrici - e abbiamo anche  cercato di dimostrare che la cucina inglese è buonissima”.

di GIUSEPPE DI MATTEO