Marco
Mazzei*
Un patto per la mobilità condivisa. Durante il lockdown siamo restati tutti a casa, e abbiamo avuto l’impressione di essere diventati una comunità migliore. Siamo restati a casa perché sapevamo che uscire sarebbe stato pericoloso e avrebbe esposto noi e i nostri cari e i nostri amici a un rischio grave, forse definitivo. Possiamo fare la stessa cosa sulla mobilità? Possiamo decidere tutti insieme di smettere di esporre a un pericolo grave, spesso definitivo, noi stessi, i nostri cari e i nostri amici? Io credo lo si possa e lo si debba fare, anche per dare un senso di continuità a quanto abbiamo costruito durante il lockdown. Qual è il patto che possiamo firmare come comunità? È il patto dei 20 kmh. Velocità massima di qualsiasi veicolo (anche le biciclette e i monopattini, sì) in città. Il patto dice che ovunque ci può essere un bambino che sfugge alla mano di un genitore e corre in strada a inseguire un pallone o un’ombra, ecco lì il limite debba essere di 20 kmh. Quindi: in tutta la città. Le autostrade si chiamano così non a caso, in ambito urbano è il tempo delle ‘personestrade’. L’impatto tra un’automobile e un pedone a 30 kmh è grave ma non devastante, a 50 kmh è molto grave spesso letale, oltre è sempre letale. L’impatto a 20 kmh non è una carezza ma salva le vite e riduce il rischio di danni permanenti. Andando a 20 kmh non servono nemmeno le piste ciclabili, le corsie, la segnaletica: si può stare tutti insieme in strada senza problemi. A 20 kmh avremmo città più ricche, che non spendono in lavori stradali per separare i flussi, persone più sane (e anche qui importanti ricadute sulla sanità), giornate più serene. È un patto già pronto da firmare, che protegge noi stessi, i nostri genitori, i nostri figli e amici, tutti. È il patto ricorda quella calamita da cruscotto che si usava tanti anni fa: ‘Vai piano, pensa a me’. E se non siamo capaci di firmarlo da soli che qualcuno trovi il coraggio di imporcelo.
*Presidente Milano Bicycle coalition e tra i fondatori
di Massa marmocchi