Milano – Se saremo obbligati a pagare, chiederemo a voi tutti i soldi sborsati. È il senso della raccomandata datata 9 dicembre 2024 che l’Avvocatura dello Stato ha inviato per conto del Viminale all’Associazione delle mamme antifasciste del Leoncavallo e alla presidente Marina Boer, dopo la condanna a risarcire 3 milioni di euro alla famiglia Cabassi per il mancato sgombero di via Watteau. Il riassunto delle puntate precedenti ci riporta al 18 marzo 2003, quando il Tribunale impone ai militanti del Leonka il rilascio immediato dei 10mila metri quadrati occupati nel 1994. Il 10 novembre 2004, la Corte d’Appello conferma la pronuncia di primo grado, che diverrà irrevocabile il 2 settembre 2010 con il verdetto definitivo della Cassazione.
Il giorno della vigilia di Natale del 2004, i proprietari notificano le sentenze di merito in forma esecutiva, insieme all’atto di precetto che intima agli occupanti di lasciare subito lo stabile. L’associazione ignora il provvedimento, e a quel punto la palla passa all’ufficiale giudiziario. Che l’11 marzo 2005 entra per la prima volta al civico 7 per consegnare l’avviso di sfratto. Ci torna pure un paio di mesi dopo, ma non può mettere in atto l’ordine di rilascio per due motivi: gli occupanti non se ne vogliono andare; e le forze dell’ordine non ci sono, nonostante una missiva preventiva della srl L’Orologio per avere garanzie sulla “fruttuosità dell’esecuzione”. I tempi si allungano: al momento, il conto parla di 130 tentativi a vuoto; il prossimo è in programma il 24 gennaio, e tutto lascia pensare che si concluderà come gli altri. Nel frattempo, Comune e proprietà si confrontano a più riprese per arrivare a una soluzione, ma le ipotesi di regolarizzazione (permuta di un immobile in epoca Pisapia e scambio di volumetrie in epoca Sala) restano sulla carta.
A quel punto, i Cabassi fanno causa per la seconda volta, stavolta a Viminale e Presidenza del Consiglio, per lo sfratto mai eseguito: in primo grado perdono, in secondo vincono. La Corte d’Appello esclude responsabilità di Palazzo Chigi e le accolla tutte al Ministero e agli organi territoriali Prefettura e Questura, stabilendo un risarcimento di 3 milioni. Il motivo? “Il rifiuto di assistenza della forza pubblica all’esecuzione dei provvedimenti del giudice, che sia determinato da valutazioni sull’opportunità dell’esecuzione medesima, costituisce un comportamento illecito lesivo del diritto alla prestazione e come tale generatore di responsabilità dalla parte della pubblica amministrazione”. Il pronunciamento datato 9 ottobre 2024 ha indirettamente riaperto uno spiraglio per la regolarizzazione dello storico centro sociale. Da settimane sono in corso contatti tra Comune e Leonka, sotto il cappello di Palazzo Diotti, per mettere fine alla telenovela: l’idea è quella di individuare una sede alternativa a via Watteau, con un paio di opzioni sul tavolo e un orizzonte temporale che guarda all’estate come deadline.
Tuttavia, il fronte giudiziario non è affatto chiuso. E la lettera che l’Avvocatura distrettuale dello Stato ha recapitato un mese fa ai leoncavallini (e per conoscenza all’ufficio di gabinetto di corso Monforte) parla chiaro. Dopo aver riepilogato l’intricata vicenda, i legali Maria Gabriella Vanadia e Riccardo Montagnoli hanno scritto: “Atteso che l’indisponibilità dell’immobile donde deriva la pretesa risarcitoria deriva dall’inosservanza della sentenza di condanna al rilascio da parte di codesta associazione, si comunica sin d’ora che il Ministero dell’Interno intende rivalersi nei confronti dell’associazione stessa e delle persone che hanno agito in nome e per conto di essa delle somme che dovesse essere costretto a corrispondere alla srl L’Orologio in adempimento della sentenza numero 2282/2024”. Fuori dal burocratese: se dovremo pagare quei 3 milioni o qualsiasi altra cifra, poi verremo a battere cassa da voi.