Ruben
Razzante*
Lo smart working è stato fondamentale per assicurare la prosecuzione delle attività professionali durante la pandemia, ma ha prodotto un incremento dei rischi informatici, che si traducono in ingenti danni economici. Una ricerca condotta da Proxyrack colloca l’Italia all’ottavo posto su scala mondiale per il costo medio degli attacchi informatici ai danni di banche dati private, aziendali o di pubbliche amministrazioni e mette in correlazione questi rischi con l’incremento del lavoro agile. L’indagine ha svolto un approfondimento su come lo smart working possa avere un ruolo sui danni che le aziende subiscono dai data breach. Ne è emerso che le società con una percentuale più alta di lavoratori da remoto vengono impattate in modo economicamente più pesante dalle violazioni dei dati. Nei dettagli, le compagnie con una percentuale di smart worker compresa tra l’81% e il 100% del totale subiscono in media un danno per ogni attacco pari a 5,5 milioni di dollari, che scende a 4,3 milioni per chi ha tra il 61% e l’80% dei dipendenti in smart working. Nella graduatoria stilata da Proxyrack, gli Stati Uniti sono al primo posto. In Italia il danno medio per un’azienda vittima di attacchi che puntano alla violazione dei dati è di 3,6 milioni di dollari. Il settore più colpito è quello dell’healthcare, con un costo medio per ogni attacco di 9,2 milioni di euro, seguito dal comparto finanziario, dove ogni attacco comporta un costo medio per la vittima di 5,7 milioni di dollari e dal farmaceutico (5 milioni di dollari). Altri ambiti fortemente toccati dal fenomeno sono quelli della tecnologia (4,8 milioni di dollari), dell’energia e dei servizi (entrambi a 4,6 milioni di dollari), seguiti dall’industria (4,2 milioni di dollari). A chiudere la graduatoria ci sono l’entertainment, l’education e i trasporti, con un danno medio rispettivamente di 3,8, 3,79 e 3,75 milioni di dollari.
*Docente di Dirittodell’informazioneall’Università Cattolica
di Milano