MASSIMILIANO MINGOIA
Cronaca

Milano, il promoter Rovelli: "Serve un locale stile Rolling Stone"

Enrico Rovelli, 74 anni, è un pezzo di storia della musica dal vivo a Milano e in Italia: il mio sogno è riaprire uno spazio per il rock

Enrico Rovelli (Nella foto in alto davanti al Rolling Stone)

Milano, 6 maggio 2018 - È stato il promoter del primo concerto di Vasco Rossi allo stadio di San Siro (correva l’anno 1990) ma anche il gestore di locali come Rolling Stone, City Square e Alcatraz. Enrico Rovelli, 74 anni, è un pezzo di storia della musica dal vivo a Milano e in Italia. Chi, meglio di lui, può parlare del rapporto tra il capoluogo lombardo, i locali e la musica “live’’? Forse nessuno.

Rovelli, partiamo dalla storia dei suoi locali...

«Negli anni Settanta ho aperto il Carta Vetrata a Bollate, poi ha fondato Radio Music, che è diventata Radio Deejay. Nel 1981, intanto, ho iniziato l’avventura con il Rolling Stone, il locale di musica rock di corso XXII Marzo. Ne ho lasciato la gestione negli anni Novanta e ho aperto il City Square e, nel 1998, l’Alcatraz. Nel 2006, infine, ho ripreso in gestione il Rolling Stone. Fino alla chiusura del locale».

La chiusura del Rolling Stone nel 2009, dopo 28 anni di storia, è stata interpretata da molti osservatori come un brutto segnale per la musica dal vivo a Milano.

«Sì, è stato un brutto segnale, perché il locale ospitava 90 concerti all’anno. Dagli artisti famosi alle band emergenti. Era l’unico locale rock di una certa dimensione rimasto a Milano. Certo, ora ci sono l’Alcatraz, che negli ultimi anni però ha preso una strada un po’ diversa, e il Fabrique. Ma la storia della musica dal vivo a Milano non è più quella di una volta. Un locale stile Rolling Stone non c’è. Sa in quanti mi dicono che un locale del genere manca a Milano?».

Molti, immagino. Ma perché non c’è più spazio per un locale del genere? Perché il rock è diventato un genere di nicchia?

«No, i concerti rock della grandi star come Bruce Springsteen fanno sempre il tutto esaurito. Parlo di show da sessanta-settantamila spettatori».

Verissimo. Ma i ragazzi ascoltano più rap che rock, le radio mainstream non passano il rock. O no?

«C’è Virgin Radio. Meno male che c’è almeno quella».

C’è chi dice: «Il rock è morto».

«Io non ci credo. Ho un locale all’Idroscalo che si chiama Papaya dove tengo una pista per il rock. Non può mancare. Anche se quella pista non è così piena come quella dove suonano la musica elettronica, quando c’è il dj rock giusto torna a riempirsi».

Non le è tornata mai la voglia di riaprire un locale stile Rolling Stone?

«Per riaprire un altro Rolling Stone ci vuole un locale con una certa capienza. E per preparare uno spazio del genere ci vogliono molti soldi. Qualche anno fa ci ho provato, è il sogno anche di mio figlio, che però ha solo 22 anni. Chissà, forse un giorno riusciremo a riaprire un locale del genere. Un progetto di un mega-locale, anzi di tre locali in uno, c’è. Ma bisogna trovare i finanziamenti».

Ma un artista o una band che vogliono proporre la propria musica, non le cover di altri artisti, troverebbero più spazi nella Milano di vent’anni o trent’anni fa o nella Milano attuale?

«Per i ragazzi che vogliono suonare dal vivo la loro musica l’impresa è difficilissima in questo momento storico. È vero, i gestori di moltissimi locali vogliono solo cover band. Non ci sono spazi per gli artisti emergenti. Prima ero in soffitta, a casa, è mi sono capitate tra le mani alcune videocassette. Una di un vecchio concerto dei Casino Royale, un’altra di uno show degli Sharks. Allora non li conosceva nessuno, ma io li facevo suonare al Rolling Stone. Oppure li affiancavo alle rockstar come Vasco Rossi, come artisti di spalla, per farli conoscere dal grande pubblico. Ora la situazione è molto diversa».

massimiliano.mingoia@ilgiorno.net