di Mario Consani
Un anno e tre mesi (con la condizionale) per rivelazione di segreto d’ufficio. È la condanna in primo grado inflitta ieri dal tribunale di Brescia a Piercamillo Davigo, storico ex pm del pool Mani Pulite, poi giudice di Cassazione e componente del Csm, finito a processo per aver diffuso – stando all’accusa – i verbali dell’avvocato Piero Amara sulla ipotetica "Loggia Ungheria". Verbali che gli furono consegnati nell’aprile del 2020 dal pm milanese Paolo Storari, già assolto in via definitiva con rito abbreviato dalla stessa accusa di rivelazione. Storari ha sempre detto di essersi rivolto proprio a Davigo, all’epoca consigliere di Palazzo dei Marescialli, per tutelarsi dal "freno" che, a detta del pm, era stato messo dagli allora vertici della Procura milanese alle indagini sulla fantomatica associazione segreta di cui aveva parlato l’avvocato siciliano, anche per verificare le eventuali calunnie messe nero su bianco dal legale.
L’ex pm dell’epoca di Tangentopoli, stando agli atti dell’inchiesta bresciana, avrebbe rassicurato Storari "di essere autorizzato a ricevere copia" di quegli atti, dicendogli che "il segreto investigativo su di essi non era a lui opponibile in quanto componente del Csm". E sarebbe così entrato in possesso di quei documenti. Ma, per l’accusa, lo avrebbe fatto al di fuori di una "procedura formale". E poi avrebbe riferito in modo confidenziale delle dichiarazioni messe a verbale da Amara anche all’allora senatore Nicola Morra, oltre che a diversi consiglieri del Csm dell’epoca e al vicepresidente David Ermini, al quale avrebbe dato anche "copia degli atti" al di fuori di "qualunque ufficialità al punto che Ermini, ritenendo irricevibili quegli atti" li avrebbe distrutti. In più, parlando e mostrando quei verbali sulla fantomatica loggia segreta, Davigo avrebbe fatto il nome di Sebastiano Ardita, anche lui allora componente del Csm, che poi col legale Fabio Repici si è costituito parte civile nel processo e che ieri ha ottenuto 20mila di risarcimento.
"Davigo? L’ho sentito e mi ha detto che faremo appello. È evidente". Così il suo avvocato Francesco Borasi dopo la lettura del verdetto. "È stato commesso un errore in fatto e in diritto - ha aggiunto il legale - ma la serenità è totale. Il dibattimento aveva dimostrato cose completamente diverse", ha concluso.
Durante il processo, cominciato il 20 aprile dell’anno scorso, sono stati citati come testimoni non solo l’ex vicepresidente del Csm Ermini e una serie di consiglieri di allora, ma anche alcune delle toghe allora di primo piano come il pg della Cassazione Giovanni Salvi e l’ex procuratore di Milano Francesco Greco. "Io credo di aver fatto il mio dovere nelle uniche forme in cui andava fatto", ha sempre ribadito Davigo.