Sul merito dell’emendamento sono d’accordo quasi tutti i consiglieri regionali: la condivisione era bipartisan a luglio e lo è oggi. A destare perplessità sono la forma con la quale è stata riproposta la questione – quella dell’emendamento, appunto – e la congiuntura. Un aspetto, quest’ultimo, sul quale anche qualche segreteria romana ha invitato a fare attenzione. In questo contesto gli scenari auspicati in maggioranza sono due: il ritiro dell’emendamento prima che sia discusso in Consiglio regionale ma con l’impegno a definire il tema in un progetto di legge da concordare in ogni dettaglio e in modo collegiale all’interno delle commissioni oppure andare al voto e respingere l’emendamento non per contrarietà sul merito ma su metodo, forma e momento. Anche in questo caso se ne riparlerebbe in commissione. In sintesi: “Giusto approvarlo, ma non oggi“. Ancora fino alle 22 di ieri, però, il confronto tra i gruppi consigliari (e al loro interno) era in pieno svolgimento e la sorte di questo e di altri emendamenti non era ancora deciso. Certe apparivano solo le fibrillazioni interne ai partiti e alla stessa Aula.
L’emendamento in questione è quello col quale si chiede la reintroduzione dell’indennità differita a titolo previdenziale e dell’indennità di fine mandato per i consiglieri regionali. Detto altrimenti: la pensione e il trattamento di fine rapporto. Entrambe le indennità furono abolite dal 2013 sulla scorta della lotta alla casta, dei tagli ai costi della politica e dell’inchiesta sui rimborsi gonfiati che coinvolse alcuni consiglieri regionali. A presentare l’emendamento è stato Luca Daniel Ferrazzi, consigliere regionale del Gruppo Misto. La palla è innanzitutto nelle mani della maggioranza di centrodestra, come ovvio. Un primo tentativo (fallito) di uscire dall’impasse è stato chiedere all’Ufficio di presidenza del Consiglio di dichiarare inamissibile il provvedimento. Ma la risposta è stata negativa. Intanto dalla segreteria romana di Fratelli d’Italia sarebbe arrivata la richiesta di non avallarlo, considerata l’eco avuta da un altro emendamento, quello alla Finanziaria, col quale si chiede un aumento per i ministri non parlamentari.
Sebbene tra i meloniani ci sia chi sarebbe pronto a votare a favore, l’indicazione del partito, infine, è stata per il no. "Il tema dell’emendamento è fondato – dichiara Marco Alparone, vicepresidente della Regione con delega al Bilancio –: anche i consiglieri regionali, come gli altri lavoratori, devono contare su un trattamento previdenziale. Ma non lo si può fare con un emendamento, meglio un progetto di legge più ampio". "Sappiamo e riconosciamo che c’è un tema aperto perché c’è una differenza tra i consiglieri lombardi che non hanno queste indennità e i consiglieri di altre Regioni, che le hanno – premette Christian Garavaglia, capogruppo di FdI –, ma la modalità di presentazione dell’emendamento in Aula ci vede contrari". Analoga la posizione della Lega: "C’è un vulnus in Lombardia su questo tema – ammette il capogruppo Alessandro Corbetta – ma non ci si può ragionare con un emendamento presentato dalla sera alla mattina, occorre avviare un confronto ampio: io, ad esempio, trovo ingiusto che un consigliere regionale vada in pensione a 60 anni e non almeno a 65. Poi sono sbagliati il momento e la sede: stiamo approvando un Bilancio che, nonostante tutto, destina risorse importanti ai fragili, non vorremmo passasse l’idea che siamo qui a decidere sulle indennità".
Il M5s e il Pd hanno già espresso contrarietà all’emendamento, pur ammettendo che il tema esiste. Ferrazzi non indietreggia: "Tutti dicono che il principio è giusto, che la Lombardia è l’unica Regione che non ha queste indennità dopo che nel 2019 la Conferenza dei presidenti dei Consigli regionali ha deliberato all’unanimità la possibilità di reintrodurle, però nessuno le vuole reintrodurre. Che lo strumento non sia quello giusto, è un alibi. Le si può reintrodurre in primavera ma saranno sempre retroattive: nella sostanza non cambia nulla".