GIAMBATTISTA ANASTASIO
Cronaca

La storia e la denuncia di Ericka: “Stanchezza cronica, niente lavoro. Il Long Covid mi ha stravolto la vita”

Milano, a maggio le hanno riconosciuto un’invalidità dell’85%, ma vale appena 340 euro al mese. Lei ha aperto “Non sono più io“, una pagina social per sensibilizzare sulle malattie invisibili

Ericka Olaya Andrade 47 anni di origine colombiana vive a Milano dal 1996

Ericka Olaya Andrade 47 anni di origine colombiana vive a Milano dal 1996

Milano – Per lei il Covid non è un capitolo chiuso. È stato, invece, il capitolo spartiacque, quello che le ha cambiato la vita. Non una parentesi, ma un incipit: l’inizio di un’esistenza decisamente diversa dalla precedente, di una quotidianità stravolta. Ha contratto il virus a marzo del 2020, durante la prima ondata, quella più dura, quella che ha colto tutti impreparati. Lei lavorava senza sosta, allora. Lavorava come designer e artigiana, di tanto in tanto organizzava eventi: "Una vita da partita Iva". Ora ha un’invalidità dell’85%: l’Inps gliel’ha riconosciuta a maggio, solo poche settimane fa. Da questo mese, invece, può beneficiare dell’Assegno di Inclusione. Non può lavorare, infatti. Non con continuità, perlomeno: il suo fisico le concede un’autonomia di 20-30 minuti, poi la fatica ha la meglio. Ha una certificazione di inabilità al lavoro. "A volte non ho nemmeno la forza di spremere un limone – racconta lei –. Se ho necessità di affrontare una giornata di sforzi ordinari, devo trascorrere le precedenti a letto".

Nonostante questo, l’indennità di invalidità dell’Inps vale appena 340 euro al mese. L’Assegno di Inclusione le consentirà, invece, di avere 500 euro per gli alimenti e 280 euro di contributo per l’affitto di casa. "Poco per chi non può lavorare: solo per l’affitto spendo 800 euro al mese". I servizi sociali del Comune si sono limitati a riconoscerle un’ora di assistenza domiciliare a settimana: "Devo scegliere se usare quei 60 minuti per avere chi mi aiuti a pulire casa o a portare la spesa". Ringrazia la comunità colombiana di Milano: "Danno una mano".

Lei è Ericka Olaya Andrade , 47 anni, colombiana, a Milano dal 1996. Nella sua stessa situazione ci sono tante altre persone. Tutte condividono un buio chiamato sindrome da Long Covid. "Ho ricevuto lettere di ragazzi giovanissimi, tra i 19 e i 22 anni, che mi scrivevano di non voler continuare a vivere perché non hanno la forza di far niente, non riescono a trovare aiuto e non esiste alcuna cura per uscire da questo incubo, l’incubo – spiega Ericka – di vivere in un corpo e in una mente che non ti assistono più". Hanno scritto a lei, questi ragazzi, perché Ericka ha creato sui social il canale “Non sono più io“: parole che esprimono in modo esaustivo come si sente chi conviva col Long Covid. "Creo contenuti multimediali finalizzati a far luce sul benessere post Covid, sul Long Covid, sulle malattie e sulle disabilità invisibili – spiega lei –. Bisogna accendere i riflettori su tutte quelle sindromi e patologie che non si vedono ma sono altamente invalidanti: oggi le persone che ne soffrono sono sole, non hanno dalle istituzioni il giusto supporto, la giusta assistenza. Io ne so qualcosa: sono stata tra le prime a vedermi riconosciuta un’invalidità riferita al Long Covid, ad uno stato di fatica cronica, di dolore cronico, oltre che a problemi cognitivi e di mobilità dovuti ad una grave carenza organica, tralasciando l’asma. E ora non voglio accontentarmi: ci sono diritti da affermare. Nel mio e in altri casi c’è un danno biologico da riconoscere". La sua storia, allora.

Come anticipato , Ericka ha iniziato ad accusare i sintomi dell’infezione da Covid a marzo 2020. Racconta, però, di essere stata ricoverata in ospedale, per l’esattezza alla Clinica Città Studi, solo tre settimane più tardi, dal 3 aprile 2020: "Il medico di base ha sottovalutato le mie condizioni di salute: l’ho contattata telefonicamente e mi ha invitato ad assumere il Vivin C. Per tre settimane non ho potuto far nulla, non sono più riuscita a contattarla, era il caos".

La svolta c’è stata quando Ericka ha iniziato "ad espellere sangue dalla bocca: a quel punto sono riuscita ad avere una visita domiciliare e il medico che mi ha visitato ha immediatamente chiamato l’ambulanza, che mi ha portata in ospedale, dove mi hanno diagnosticato una polmonite bilaterale interstiziale. Sono stata ricoverata per tre settimane". Ericka ha sofferto fin da piccola di attacchi di asma, diventati sempre più gestibili nel corso degli anni: "Una volta cresciuta, mi è sempre bastato l’inalatore e l’evitare di stare a contatto con tutto quello al quale sono allergica".

Per il resto, le sue condizioni di salute non le avevano mai impedito di condurre una vita ordinaria. Uscita dall’ospedale, è stata ospitata al Covid Hotel: "Ci sono rimasta due mesi e mezzo, fino a luglio, perché non riuscivo a mettere in fila due tamponi negativi. Ho sofferto l’isolamento del Covid Hotel, ma una volta arrivata a casa sono stata peggio perché lì non c’era più nessuno che badasse ai pasti e alla pulizia della stanza al posto mio: dovevo fare tutto io, da sola, senza averne le forze. Ho pensato: “Stavo meglio da positiva che da negativa“".

Intanto la doccia fredda: "Poco prima di contrarre il virus, ho chiuso la partita Iva e sono entrata in una multinazionale. Questi mi hanno lasciato a casa appena scaduto il contratto, sebbene non stessi bene e senza avermi riconosciutola malattia". Da qui 4 anni difficili: "Senza fonti di reddito e senza la capacità di lavorare, la mia situazione economica è precipitata. E con essa quella sociale: il Long Covid colpisce duro sui due fronti. L’invalidità Inps, l’Assegno di Inclusione, l’ora di assistenza del Comune non possono bastare di fronte a quello che ci è capitato".