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Va in pensione, troppo tempo libero: finisce nel tunnel delle slot machine

La storia di un ex dirigente d'azienda. Quattro anni d’inferno: "Ci ho smenato 40mila euro". Poi il riscatto: ora aiuta chi soffre di ludopatia. "Mi sentivo solo. Una volta sbrigata qualche commissione, non sapevo che fare. Così ho preso a frequentare il bar ed è iniziata la mia malattia" di Giambattista Anastasio

Un giocatore di videopoker

Milano, 6 novembre 2014 - Un lavoro ben retribuito da dirigente d’azienda, una moglie, tre figli e una villa di proprietà a Vigevano: Roberto aveva quanto chiunque desidera. Ma all’età di 59 anni ha rischiato di perdere tutto perché dopo una vita spesa per la famiglia e il lavoro non sapeva che farsene del tempo libero lasciatogli dalla pensione. E così ha iniziato a frequentare il bar e a giocare alle slot machine. Finché è diventato dipendente dall’azzardo. Un tunnel dal quale è uscito dopo 4 anni. Poi il riscatto: ora aiuta chi soffre di ludopatia.

Roberto, come è iniziata la dipendenza? «Non ho mai avuto hobby e una volta lasciata l’azienda mi sono sentito smarrito: la mattina, quando la casa si svuotava perché mia moglie andava a lavorare, mi sentivo solo. Una volta sbrigata qualche commissione, non sapevo che fare. Così ho preso a frequentare il bar e lì è iniziata la mia malattia: all’inizio mi limitavo a guardare gli altri giocatori, un giorno ho voluto provare, ho messo 1 euro nelle slot machine e ne ho vinti 50. Da lì è stata un’escalation: al mattino il mio primo pensiero era andare a giocare, stavo davanti alle macchinette fino alle 16.55 perché poi alle 17 mia moglie tornava a casa dal lavoro e non volevo sospettasse di nulla. Spesso non pranzavo neppure tanto ero preso dal gioco: ero come in ipnosi, mi allontanavo dalle macchinette solo per andare al bancomat. Sono arrivato a spendere 700 euro al giorno e a prelevare soldi dal conto di mia figlia: me ne vergogno ancora. Al netto di quello che ho recuperato con qualche vincita, ci ho smenato almeno 40mila euro».

Lei non ha guai economici, perché tanta fame di soldi? «Con le slot machine non ci si arricchisce mai, nel mio caso col gioco volevo colmare un vuoto, riempire le giornate».

Per quanto tempo è riuscito a tenere nascosta la sua dipendenza alla famiglia? «Mia moglie ha saputo che giocavo quando la banca ha telefonato a casa per segnalare movimenti anomali sul conto corrente, quasi prosciugato. Da lì a poco ha deciso di separarsi e mi sono ritrovato a dormire in auto. I miei figli non smettevano di venire al bar per togliermi dalle macchinette ma io li cacciavo malamente e a volte cambiavo bar per non farmi trovare».

Quando ha detto «basta»? «Quando ho toccato il fondo. Quando ho visto i miei figli piangere e mi sono sentito dire da loro, e da mio fratello, che non potevo più essere quel punto di riferimento che ero stato fino ad allora. Allora ho chiesto aiuto e trovato la Casa del Giovane e Simone: ora riempio le giornate aiutando altri ad uscire dal tunnel».

Come? «Devono essere i giocatori a cercare aiuto, andare a cercarli nei bar non serve a niente: cacciano tutti come facevo io coi miei figli. Devono toccare il fondo, rimanere senza soldi e affetti: è allora che il giocatore comincia a desiderare di smettere».

Lei come si è disintossicato «Uno dei miei figli, d’accordo con la Casa del Giovane, ha preso a farmi da tutore: mi lasciava in tasca ogni giorno solo 2 euro e in caso di spesa dovevo portare gli scontrini. Bloccato anche il conto corrente: potevo prelevare solo se c’era la sua firma. È cambiando stile di vita che se ne esce». giambattista.anastasio@ilgiorno.net