CHIARA ARCESI
Cronaca

Luisa Beccaria: “La prima sfilata a Brera e il biglietto di Halle Berry. Il mio è un family business, anzi ormai sono io che lavoro per i miei 5 figli”

Milano, la stilista discendente di Cesare Beccaria, tra ricordi meneghini e aneddoti “reali”: “La città è stata ricettiva sin dall’inizio. Questo mito di Milano che riconosce il talento è vero”. Sul rapporto con il capoluogo: “Vivere a qui con le scuole vicine e tutto a portata di mano è stato sicuramente di aiuto. Mi ha permesso coniugare la mia grande famiglia con il lavoro”

La stilista Luisa Beccaria, tra i suoi antenati c’è anche il giurista del ’700 Cesare Beccaria, autore di “Dei delitti e delle pene“

La stilista Luisa Beccaria, tra i suoi antenati c’è anche il giurista del ’700 Cesare Beccaria, autore di “Dei delitti e delle pene“

Milano – “Avevamo mandato a dormire in albergo i vecchietti che vi abitavano e foderato tutte le finestre con carta da pacco dipinta. Le mie amiche modelle e io stessa, dal quarto piano, camminando lungo le scale e sui balconi, mostravamo, a suon di musica, la collezione di abiti al pubblico in cortile, affascinato da lunghe gambe che si vedevano dal basso verso l’alto”. Ricorda così i suoi primi passi nel mondo della moda, unita all’arte nel presentare le sue creazioni. È Luisa Beccaria, con il suo atelier di abiti nell’angolo bohémien di Brera, amata dalle dive di Hollywood e non solo.

Discendente di Cesare, milanese doc, come attestato dal suo cognome illustre e marito aristocratico siciliano. Liceo classico al Berchet, studi accademici letterari e una grande famiglia. “Sì, milanese da generazioni. Proprio dove ora troneggia la statua di Cesare Beccaria, nel cortile dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, feci una delle mie prime presentazioni di abiti. Molto del mio tempo l’ho trascorso anche in Sicilia, dove mi sono innamorata agli inizi degli anni ‘90 del progetto di restauro di un vecchio feudo abbandonato sui monti Blei della famiglia di mio marito. Sorse lì il grande sogno ad occhi aperti di inglobare un concetto di bellezza a tutto tondo, di life style, creando giardini e interni scenografici che ha dato vita e forma al mondo Luisa Beccaria così riconoscibile ed apprezzato nel mondo. Un family business il mio, con l’aiuto dei miei 5 figli. Anzi, ormai, quasi, sono io a lavorare per loro”.

Da dove nasce la passione per la moda?

“In realtà avrei voluto intraprendere la carriera universitaria ma rimasi affascinata dai ritmi veloci della moda... da sempre innamorata di estetica che per me è anche etica! Da ragazza indossavo i vestiti da me creati insieme a una sarta paziente. Poi, partii per Londra dove cominciai ad avere richieste di moda per quello che disegnavo. Con le mie prime mostre ebbi riscontri positivi rapidissimi, quindi la moda iniziò a coinvolgermi molto. I ritmi delle sfilate sono stati ravvicinati, i nostri abiti spediti all’estero prima tra tutti l’America!”.

Com’è cambiata Milano tra ieri e oggi?

“Milano è stata ricettiva sin dall’inizio. Questo mito di Milano che riconosce il talento è vero. Negli anni ’80 era molto effervescente e pronta a cogliere la novità. Poi gli anni più difficili. Dico sempre che Milano è un ufficio a cielo aperto, dove tutti vogliono dare il massimo… la qualità è altissima. Da qualche anno, è di nuovo in grande fermento, positiva, ha accolto tantissimi stranieri da tutto il mondo. Offre molte possibilità, ha recuperato posizioni nel design, nella moda. Vivere a Milano con 5 figli, le scuole vicine e tutto a portata di mano è stato sicuramente di aiuto. Una città tascabile, che mi ha permesso coniugare la mia grande famiglia con il lavoro”.

Rari gli artigiani oggi in Italia e molti grandi brand di lusso sono diventati standardizzati e, come dice lei, “fanno i soldi con le sneakers e accessori griffati”.

“Non si sa mai se è nata prima la gallina o l’uovo... Non appoggiarsi agli artigiani e cercare manodopera all’estero pagandola meno, gonfiare un prodotto più per il branding che per il tessuto, porta ad avere meno bisogno di manodopera locale. Con i nostri laboratori, invece, noi siamo rimasti un marchio autentico e riconoscibile come stile, timeless, che punta molto sulla tradizione innovazione del Made in Italy. Il costo del lavoro è molto alto, in Italia l’imprenditoria non viene premiata, così molte aziende si rivolgono all’estero. Io ho cercato di rimanere in una fascia molto alta, sartoriale, con vari laboratori in Italia che esaudiscono special order e richieste mirate”.

E la tecnologia nella moda?

“A tutti i livelli ha accorciato le distanze, tutto è diventato più sbrigativo. In tante cose è un plus perché ripete il lavoro manuale; ricami e tecniche ora rimpiazzano in modo più industriale cose che si potevano fare solo in altissima moda. Ma il rapporto diretto, interpersonale era molto diverso in passato”.

Difficile restare sull’onda quando il mondo cambia di continuo?

“I valori importanti restano. Dopo il Covid c’è stato un grande ritorno alla verità, all’essenza delle cose e, quindi, a interpretare un pezzo di abbigliamento come una parte della tua vita. Avere un amico nell’armadio, timeless. La moda passa, lo stile resta. A me piace fare ricerca. Insieme a mia figlia Lucilla ogni stagione buttiamo fuori molte idee e proposte nuove ma confermando sempre un ideale femminile pieno di grazia”.

Cosa direbbe ai giovani che vogliono affacciarsi al mondo del design e della moda?

“Di prendere il percorso molto sul serio. Dietro c’è un’enorme costanza, fatica, modestia di fondo, forza di concentrazione in breve tempo, calma per affrontare le dirette. Diversamente dal cinema in cui si può replicare, viviamo molto di estemporaneità. Un po’ come il pianista che suona senza spartito”.

Un aneddoto simpatico?

“Un bigliettino di Halle Berry che recitava: “You make me feel like a princess but still my boyfriend says I am the sexiest“. Sentirsi elegante come una principessa ma nello stesso tempo seducente. Mi piacque molto. E poi quando feci l’abito da sposa per il matrimonio reale a Windsor della figlia del cugino primo della Regina, che all’ultimo momento, provando la corona, decise che sarebbe stata troppo alta rispetto al marito e volle indossarlo senza tacchi. Le mie povere sarte trascorsero la notte ad accorciare il vestito… la mattina dopo per arrivare al guardaroba attraversammo tutti i salotti della regina, entrando in qualche modo nella vita più intima di un personaggio pubblico. Da lì ho capito perché la regina si vestiva sempre mono-block da capo a piedi, perché anche i suoi salotti sono così. Il salotto tutto giallo, quello tutto verde…”.

Da letterata quale poesia meglio la rappresenta?

“L’infinito di Leopardi. Mi piace l’idea di chiudersi dietro uno spazio piccolo e limitato che lasci spazio all’infinito, che è alla base di tutto”.