CLAUDIO
Cronaca

L’Ulisse del bidello all’alba

Il bidello del liceo instaura un rapporto silenzioso ma significativo con l'autore, che lo ascolta senza capire. Un monologo quotidiano che si interrompe, lasciando in sospeso suggestioni omeriche.

Il bidello del liceo instaura un rapporto silenzioso ma significativo con l'autore, che lo ascolta senza capire. Un monologo quotidiano che si interrompe, lasciando in sospeso suggestioni omeriche.

Il bidello del liceo instaura un rapporto silenzioso ma significativo con l'autore, che lo ascolta senza capire. Un monologo quotidiano che si interrompe, lasciando in sospeso suggestioni omeriche.

Negri

Il bidello mi aveva preso in simpatia. Arrivavo al liceo per primo, la mattina. Non per eccesso di zelo scolastico, ma perché avevo solo un treno utile, dal fondo dell’alba, per non perdere tutte le altre coincidenze al cuore di Milano. Nei mesi con la erre, era ancora buio quando mettevo piede a scuola. Salutavo il bidello, che stava di guardia all’uscio. L’uomo ricambiava il buongiorno con una strizzata d’occhi, mentre una luce di ferro, da officina diffusa, saliva dalle finestre. Poi mi parlava. Ma io capivo poco o nulla. Annuivo di tanto in tanto, per timida cortesia. Era, quella del bidello, un linguaggio aspirato, sibilante, eredità sonora di civiltà remote. Anche la faccia, né giovane né vecchia, era in un certo senso aspirata e sibilante. Mi raccontava chissà che, monocorde, sul filo di una commozione mesta per come vanno i casi della vita, ma così in generale, senza offendere nessuno. Mi immaginavo che ce l’avesse con Milano e col suo cielo indefinito, attaccando alla trenodia altri vagoni: la moglie malata un giorno no e l’altro sì, atti giudiziari e fastidi per raccomandata, soldi che mancavano, figli già scapestrati nel girello da tirare comunque su. Sono certo, adesso, che il bidello mi parlava ogni giorno, sul far dell’alba, per avere almeno l’illusione di essere ascoltato. E quando gli comparivo davanti, nel lucore quasi monastico dell’aula vuota, non era tanto una questione di simpatia: ero l’ascoltatore perfetto e pazienza se non capivo. Quel suo monologare divenne un’abitudine per tutto l’inverno. Poi basta. Forse avevo cambiato orario o i treni avevano cambiato fermate. Forse il bidello aveva trovato lavoro e ascoltatori in un altrove meno angusto. Ma i suoi monologhi restarono in me sospesi a lungo, nell’asprigno greco del mare: sponde lontane, sirene, ciclopi e passaggi a vuoto su un legno da impiccato. Come se Ulisse avesse cercato di raccontarmi a puntate la sua versione dell’Odissea e io mi fossi limitato ad annuire di tanto in tanto. Senza capire.