"Perseguiamo la ricerca della verità per i nostri cari e per ridare loro quella dignità che gli è stata rubata e lesa anche da morti". Così Sabrina Gualini, presidente del Comitato nazionale dei familiari delle vittime del Covid durante l’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid. "Cosa c’è di umano nel vietare di vedere il proprio parente ormai morto? - ha aggiunto Gualini - Non sappiamo neppure chi c’era dentro la bara, che ci è stata consegnata sigillata. Diversi di noi non hanno potuto nemmeno onorare il proprio caro. Forse il virus usciva dalla bara?".
E ancora: "Durante la pandemia la risposta dello Stato, anche a livello di comunicazione, è stata molto molto scarsa, basata sul terrore e sinceramente mi sarei aspettata una comunicazione tipo campagna elettorale, con librettini che arrivavano a casa con vademecum".
Parte dell’audizione è stata dedicata alle drammatiche testimonianze dei familiari delle vittime: "Mio marito di 56 anni è morto, due giorni dopo è morto mio padre di 74 anni - racconta una testimone - Da subito ho capito che c’era qualcosa di anomalo nella gestione del loro ricovero. Ai miei cari non è stato fatto nulla, mai una tac, non sono state somministrate le terapie, i sanitari si sono rifiutati di fare il plasma e i monoclonali. Le cartelle cliniche hanno confermato tutti i miei dubbi: nessuna terapia, nessuna diagnosi. Oltre ai dati falsi riportati, che servivano a giustificarne la morte, scopro che mio padre era classificato come uomo di 84 anni in luogo di 74, del peso di 86 in luogo di 60. Sia lui che mio marito venivano definiti in grado di non attendere agli atti quotidiani, in realtà conducevano una vita normale e in salute".
"Abbiamo delle chat tra parenti ricoverati e chi era casa che hanno del surreale e siamo in grado di fornirle - dice un’altra testimonianza ascoltata dalla commissione parlamentare - Per esempio un giovane uomo di 45 anni, padre di tre figli piccoli che, viste le precarietà assistenziali della struttura ospedaliera che lo riceveva, dopo un primo rifiuto della prima, per mancanza di posti letto, scriveva alla giovane moglie: ’Non lasciarmi morire in questo Pronto soccorso’. Non riusciva a respirare con la maschera che gli avevano messo, voleva bere ma nessuno si avvicinava quando chiamava alzando le braccia".
Durante l’emergenza, "i diritti del malato e delle persone non sono stati rispettati", ha concluso Guerini, sottolineando ancora che "il consenso informativo è scomparso dopo l’arrivo del
Covid, le visite erano effettuate da medici neo laureati e inesperti, muniti solo di saturimetro. La prescrizione generale era paracetamolo e vigile attesa".