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"Le mafie allevano i loro medici. E la sanità lombarda è permeabile"

La lezione di Nando Dalla Chiesa al Pirellone: bisogna conoscerli di GIULIA BONEZZI

Un medico

Milano, 10 dicembre 2015 - Mafie, la ’ndrangheta su tutte, che «allevano i loro medici», magari tramite infiltrati in amministrazione che fanno figurare esami mai sostenuti, e «nelle università lombarde», meno sospettabili e più blasonate. Perché un medico alla Famiglia serve sempre: per acquisire prestigio e controllo sociale, per firmare una perizia psichiatrica e tenere un boss fuori di galera, consentendogli di mostrare a tutti il proprio potere con l’impunità. Ma anche «una falsa perizia d’invalidità, sul mercato elettorale, vale almeno venti voti: la famiglia allargata che beneficia della pensione. Cinque perizie all’anno, per cinque anni, fanno 500 voti, che in certi Comuni possono fare un assessore».

Disegna scenari inquietanti Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata della Statale, davanti alla commissione antimafia del Pirellone. Il tema - mafia e sanità - è stato al centro della Summer School di settembre, ed è già entrato nelle relazioni per la commissione parlamentare presieduta da Rosy Bindi: il settore, chiarisce il professore, è appetito dalla criminalità organizzata non solo per il «bottino» (dal 77 all’85% della spesa delle Regioni), ma per «penetrare nella società: il cuore non sono i soldi, ma il potere».

E nessuna Regione sembra attrattiva per le mafie, anche straniere, quanto la Lombardia, dove ad esempio «la pax di Milano è garantita dal fatto che nessuna organizzazione, da sola, è in grado di soddisfare la domanda di cocaina». Se l’alta penetrazione è svelata anche da una Dda milanese «più efficiente e tempestiva rispetto ad altre del Nord», «tutto questo non spiega il divario tra la Lombardia e le altre regioni nella sanità». Alla quale le cosche sono attratte da sette tipi di vantaggi, solo due (riciclaggio e profitti da appalti e prestazioni) di natura economica. Gli altri sono «reti di relazioni sociali, bacini elettorali, benemerenze sociali, reti di dipendenze personali, cioè controllare posti di lavoro». Che significano consenso, e «anche l’assunzione di un solo infermiere, richiesta da Reggio Calabria, è decisiva se consente di fare riunioni in ospedale dove non si è intercettati».

Perché poi - settimo - ci sono i favori illegali, fino al «caso estremo» di Francesco Pelle detto Ciccio Pakistan, arrestato nel 2008 alla clinica Maugeri di Pavia dov’era ricoverato sotto il nome di un altro invalido. Parla, Dalla Chiesa, sulla base delle cronache giudiziarie, ma anche di colloqui con gli investigatori e testimonianze ascoltate in anonimato, «da persone non disposte a rivolgersi alle autorità ». Segnalazioni, ad esempio, «di tentativi di entrare nel sistema delle farmacie». E anche se in Lombardia «il nesso è ancora politica- sanità-mafia», e non viceversa «mafia-sanità-politica» come in Calabria, «colpisce ad esempio il fatto che il clan reggino dei Condello, senza coperture sul territorio, venga ad allearsi col capo di una ’ndrina del Varesotto e un gruppo di usurai bergamaschi per impossessarsi di un pezzo pregiato della sanità lombarda». Il tentativo fallisce, ma «per fare un investimento del genere devono aver avuto garanzie sulla realizzabilità dell’operazione». In altre parole, «c’è una specifica penetrabilità della sanità lombarda e bisogna capirne le ragioni». Soprattutto, insiste Dalla Chiesa, «per prevenire le infiltrazioni bisogna sapere quali sono i varchi nel sistema, e pensare come pensano loro. Come con l’Isis, altrimenti non li sconfiggi». giulia.bonezzi@ilgiorno.net