ANDREA GIANNI
Cronaca

Salvò un uomo dal suicidio, accusato di maltrattamenti: assolto dopo sei anni “da incubo”

Mohammed Haida nel 2009 soccorse un uomo che si era impiccato. Successivamente fu denunciato dalla moglie: condannato in primo grado, sentenza ribaltata in Appello

Mohammed Haida, 38 anni, è titolare di una piccola impresa edile

Mohammed Haida, 38 anni, è titolare di una piccola impresa edile

Milano, 19 dicembre 2024 – Il suo caso era finito alla ribalta nell’agosto del 2009. Il marocchino Mohammed Haida, all’epoca 22enne clandestino in Italia, si arrampicò su un ponteggio del suo palazzo in via Inama, zona Città Studi, tagliando la corda a cui si era impiccato un 55enne milanese, salvandogli la vita.

Un gesto eroico che ha cambiato anche il corso della sua esistenza, perché fu annullato il decreto di espulsione a suo carico e riuscì così ad avviare l’iter che gli ha permesso di ottenere il permesso di soggiorno e un lavoro in regola.

Le accuse sfumate

L’uomo è rimasto in seguito coinvolto in una vicenda giudiziaria che si è trascinata per sei anni e si è conclusa nei giorni scorsi con l’assoluzione in appello dalle gravi accuse di maltrattamenti in famiglia, lesioni e violenza sessuale nei confronti dell’ex moglie, che nel 2018 lo aveva denunciato. Sono state accolte, così, le richieste dell’avvocato Roberto Falessi, che aveva assistito Haida anche nella battaglia per ottenere il permesso di soggiorno dopo il salvataggio in Città Studi, affiancato nel processo di secondo grado dal professor Guglielmo Gulotta.

“È la fine di un incubo”, spiega l’uomo, che ora ha 38 anni ed è titolare di una piccola impresa nel settore dell’edilizia. “Io avevo i mezzi per difendermi nei processi – prosegue – ma penso a tutte quelle persone che non hanno la possibilità, quando rimangono coinvolte in vicende del genere, di nominare validi legali e consulenti. La mia intenzione è quella di chiedere la cittadinanza italiana, che finora mi è stata preclusa visti i fatti di cui ero accusato”.

La vicenda giudiziaria

Il procedimento scaturiva da denunce presentata dalla donna, che aveva conosciuto e sposato in Marocco iniziando poi una convivenza a Milano. Aveva riferito che il marito la chiudeva a chiave in casa, la costringeva a subire botte e maltrattamenti, minacce di morte e altre gravi violenze. Episodi che, invece, il 38enne ha sempre negato.

Nel processo di primo grado la pm Letizia Mocciaro aveva chiesto l’assoluzione. Il Tribunale, però, aveva dato una diversa lettura della vicenda, condannando a 4 anni di reclusione l’imputato, sempre rimasto a piede libero.

Nelle motivazioni della sentenza il collegio, presieduto da Elisabetta Canevini, stabiliva la “attendibilità” della persona offesa, assistita dall’avvocato Ilaria Scaccabarozzi (la donna non si è costituita parte civile), e la “coerenza” dei suoi racconti.

Una sentenza ribaltata però, nei giorni scorsi, dalla prima sezione penale della Corte d’Appello, presieduta dalla giudice Chiara Maria Giuseppina Nobili. La sostituta pg Paola Pirotta aveva chiesto l’assoluzione per violenza sessuale e maltrattamenti, e la condanna per due episodi di presunte lesioni. I giudici lo hanno assolto invece da tutti i capi d’imputazione.

L’avvocato tecnologico

“Non ho mai sentito così forte il brivido per l’impatto della giustizia sulla vita delle persone, le può distruggere o far rifiorire”, spiega l’avvocato Falessi, che aveva anche presentato un ricorso in una inedita forma “multimediale“, con Qr Code a disposizione dei giudici per visualizzare foto e video prodotti dalla difesa.

“Non ho mai vissuto così in profondità la tremenda responsabilità di chi si trovi a dover giudicare e che dovrebbe temere l’errore giudiziario – conclude – come l’incubo delle sue notti”.