STEFANIA CONSENTI
Cronaca

Salone del mobile, l'architetto Mario Bellini: "Felice, ma non andrò in pensione"

Un premio alla carriera per l'archistar

Mario Bellini

Milano, 13 aprile 2019 - Nell'arredamento ha firmato opere per B&B (come le Bambole del ’72), Cassina (la mitica sedia Cab), Flos, Flou, Vitra… Oltre che aver segnato tappe fondamentali nel progetto delle macchine per ufficio (suo il primo personal computer della storia disegnato per Olivetti nel ’65). E ha vinto premi più di chiunque altro, otto volte il Compasso d’oro. Ora un nuovo premio speciale alla carriera conferito ieri, dal Salone del Mobile, nella bellissima serata di saluto a Palazzo Marino.

Architetto Mario Bellini, che cosa prova?

«Ne sono ovviamente felice ma posso solo considerarlo uno stimolo a non fermarmi, ad andare avanti. Non ho intenzione di mettermi a riposo. Voglio continuare a inventare,  a immaginare e realizzare nuovi progetti, a tutte le scale: da sempre, se ci penso, ho lavorato alla scala grande che è la città e l’architettura, e poi a quella di allestimenti, arredi e delle macchine. Ho disegnato di tutto. Ho spesso avuto un gusto dadaista. Penso alla lampada a forma di nube che ora produce Nemo e che avevo pensato per dare un cielo ai nostri uffici. Per Flos di Sergio Gandini, nel 1969, ho disegnato una lampada che si chiama Chiara, ricorda una suora e che ora Piero Gandini, il figlio, ha rimesso in produzione in versione aggiornata. I premi hanno un effetto collaterale: ti tengono sveglio, attivo e ti fanno venire voglia di riceverne altri. Ti spingono a nuove sfide. Sempre che tu sia curioso e posseduto da quel demone della creatività che può tutto. Posso dire di essere ancora ferocemente curioso e posseduto». 

Lei a 84 anni è uno dei progettisti più attivi. Alcuni suoi oggetti  sono in esposizione nel Museo del Design in Triennale come la calcolatrice elettronica portatile Divisumma 18. Chi è nel privato Bellini?

«Un uomo sempre attivo, viaggiatore che sull’aereo ricarica le batterie. Sono stato ovunque. Difficile trovare un posto, mettendo il dito sulla carta del mondo, dove io non sia stato per curiosità, piacere della scoperta. Sa che sono stato velista? Avevo una bella barca danese con la quale ho fatto diverse regate vincendone molte».

E che altro?

«Da sempre attratto dalla fotografia, sono stato anche un fotografo scatenato. Pensi che amavo fare scatti sui treni veloci giapponesi; mettevo la macchina sul finestrino e mentre andavo tenevo il dito sul tasto della mia Hologon e... via con le foto. Se non avessi fatto l’architetto? Avrei fatto il poeta. Mi è sempre piaciuto esplorare e studiare il potere della parola. Amo collezionare oggetti del ’900, ma non ho mai collezionato me stesso e ora mi trovo a dover acquistare alcuni miei pezzi divenuti cult nel corso dei decenni. Amo poi i giardini e la botanica. In ogni casa che ho abitato ne ho sempre avuto uno a portata di sguardo e di passo».

Ha  rimpianti, c’è qualcosa che avrebbe voluto fare?

«Non so, forse alcuni… Ma ho fatto così tante cose e così diverse fra loro che sarebbe ingiustificato avere crucci e rimpianti. Ogni giorno è una nuova avventura e ogni progetto che inizio coincide con l’inizio di un viaggio. Non mi guardo mai indietro, sempre avanti. E con me ho una bussola preziosa: mi indica dove cercare la bellezza». 

Oltre che avere una vitalità creativa è in ottima forma fisica. Il segreto?

«Cammino molto, nuoto ogni mattina e mangio poco. Tanta frutta, verdura e proteine sane in un rapporto equilibrato. Senza dimenticare il piacere della buona cucina e dei sapori autentici».  

Cosa le piacerebbe fosse ricordato di lei, soprattutto? 

«Vorrei essere ricordato attraverso le mie opere. Sono il riassunto tangibile della mia vita, sia che si tratti di una sedia, un tavolo o persino di semplici chopsticks, sia che si tratti di grandi fatiche come il Dipartimento delle arti islamiche realizzato nell’arco di sette anni al Louvre di Parigi. Che fatica, ma che gioia… ».

Consigli ai giovani architetti?

«Cari ragazzi, se sentite di avere una passione incontenibile per fare l’architetto o il designer, e per farlo bene, fatelo. Altrimenti lasciate stare. Affrontare questo tipo di avventure professionali senza adeguato talento può portare a frustrazioni o tristezze». 

Design è parola abusata, tutto è design, o niente...come dobbiamo tradurlo? 

«Smettiamo di domandarci cos’è. Abbiamo capito che la funzione può seguire la forma, ma anche la forma ha una funzione: quella di procurarci emozioni. Ne abbiamo bisogno per essere felici».