Milano, 22 giugno 2023 – “Dopo tanti anni il silenzio è rotto, questo è l’inizio di un Metoo italiano per un reale cambiamento nel mondo del lavoro”.
Il pubblicitario milanese Massimo Guastini, 63 anni, autore di campagne di successo ed ex presidente dell’Art Directors Club Italiano (Adci), storica associazione di settore, ha iniziato 12 anni fa la sua battaglia contro le molestie sulle donne nel mondo della pubblicità e della comunicazione. Battaglia che lo ha portato a raccogliere le testimonianze delle vittime, culminata nella scelta di accusare pubblicamente, con nome e cognome del «molestatore seriale», un altro noto professionista del settore, che solo lo scorso 7 giugno è stato espulso all’unanimità dall’Adci.
La sua mossa ha “rotto il vaso di Pandora", unita alla scelta di una copywriter freelance, Tania, di raccontare sulla sua pagina Instagram episodi subiti nel corso della sua attività professionale, raccogliendo oltre 400 testimonianze di molestie, insulti, mobbing e discriminazioni in colossi o piccole realtà. Tanti anni di silenzio, poi il caso è esploso.
"Per 12 anni ne abbiamo discusso in maniera delicata, ma questo non ha portato a nulla. Le donne hanno continuato a essere isolate e i casi insabbiati. Quando ci si chiede perché le donne non hanno sporto denuncia in Procura bisogna considerare un contesto generale drammatico: solo il 4% delle vittime di stupro denuncia. La mia scelta di espormi in un’intervista pubblicata sulla pagina Facebook di Monica Rossi (pseudonimo di un creator famoso nel settore, ndr), assumendomi tutte le responsabilità di una denuncia pubblica, ha smosso le acque. Ci sono state migliaia di condivisioni, Tania ne ha parlato su Instagram fino a quando il caso è arrivato sul tavolo dei media”.
Qual è, ora, il suo obiettivo?
"Creare un’alleanza fra uomini e donne per ripulire un sistema malato, dove la denuncia è considerata gogna puritana, la connivenza diventa discrezione. Un sistema patriarcale con una cupola dirigenziale formata da soli uomini e le donne trattate come ancelle, con atteggiamenti da medioevo. I problemi del nostro settore non sono legati solo allo scandalo sessuale. Già nel 2013 segnalavo condizioni di lavoro e remunerazioni al limite della schiavitù, in un sistema immorale avallato da tante aziende. Lavoro pagato con ticket restaurant, nero, orari infiniti. Questo sistema è comune anche ad altri settori, pensiamo ad esempio a quello che succedere nei ristoranti stellati».
Un caso che scoppia a Milano, la capitale della comunicazione in Italia.
"È emerso a Milano perché forse questa città ha ancora gli anticorpi culturali per reagire. In altre zone la situazione è peggiore”.
Le aziende del vostro settore sono prive, nella maggior parte dei casi, di una rappresentanza sindacale. Quanto influisce, questo fatto, nell’arretramento sui diritti?
"Viviamo in un’epoca in cui i diritti sul lavoro sono stati svenduti: chi lavora nel nostro settore è privo di un’educazione sindacale, e l’assenza di una rappresentanza è un danno. Viene meno ogni forma di controllo, e così diventa normale che le ore di straordinario non siano remunerate. Cosa possono fare le istituzioni? Mandino gli ispettori del lavoro, per vedere cosa succede”.
Nella sua lunga esperienza in questo settore ha notato un aumento delle molestie sulle donne rispetto al passato?
"La situazione senza dubbio è peggiorata. Negli anni ’80 penso che avremmo denunciato la “chat degli 80“ (creata dai dipendenti uomini dell’agenzia We Are Social, ndr), c’erano antidoti culturali che i ragazzi di oggi non hanno più. A un certo punto qualcosa è saltato, e forse la colpa è anche dell’immagine delle donne veicolata dalla pubblicità». Che cosa ha spinto le vittime a rivolgersi a lei? «La fiducia e il bisogno di non rimanere più in silenzio. Giulia è stata la mia “paziente 0“, poi ne sono arrivate altre. Per loro ero come un vecchio papà. Tante altre si stanno facendo avanti, perché questo è solo l’inizio”.