di Nicola Palma
"Poi ci sistemiamo dopo io e te?". "Sono nel salone. Se passi chiamami. Porta 5 euro o 10 euro". "Stavolta te lo pago però". Di frasi del genere, i carabinieri del Nucleo investigativo ne hanno ascoltate decine tra febbraio e giugno del 2018, sconcertante istantanea del "mercimonio" della funzione pubblica nell’Ufficio provinciale dell’Agenzia delle Entrate. A valle di un’inchiesta avviata grazie alla denuncia di due dipendenti, che non si sono girati dall’altra parte e hanno segnalato i comportamenti fuorilegge dei colleghi, ieri i militari di via Moscova, guidati dal tenente colonnello Antonio Coppola e coordinati dall’aggiunto Laura Pedio e dal pm Giovanni Polizzi, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per tre impiegati.
Arrestati per corruzione Davide Di Santo, Stefano Urso e Tiziana Bozzini, accusati di aver messo il loro lavoro a disposizione di emissari di notai, geometri, avvocati e aziende di disbrigo pratiche (29 le persone denunciate su quel fronte), elargendo atti e certificati senza incassare il corrispettivo in denaro richiesto ai comuni mortali; o meglio, incassandolo sì, ma per loro. Un traffico più o meno alla luce del sole, dove in molti sapevano (compresi alcuni capi, pure l’ex Conservatore in pensione è indagato per abuso d’ufficio) e in pochissimi se la sono sentita di disvelare il sistema. Tra questi ultimi, alcuni hanno riferito anonimamente i loro sospetti (con la pratica del whistleblowing), generando un’ispezione interna che, a giudicare dai successivi sviluppi, ha scalfito soltanto la punta dell’iceberg, senza placare "la bramosia di guadagno e l’accondiscendenza all’illegalità" dei coinvolti, parole del gip Valerio Natale; altri, due in particolare, sono andati dritti dagli investigatori, facendo partire l’inchiesta nel gennaio del 2017. Come primo passaggio, gli investigatori hanno ricostruito le procedure corrette per la richiesta allo sportello di visure ipotecarie o catastali, che servono rispettivamente per capire se una persona sia intestataria di immobili e per avere informazioni topografiche su un fabbricato: l’utente compila un modulo alla cassa (dove contestualmente viene aperto un protocollo informatico) e versa un acconto; poi gli addetti alle ispezioni avviano le ricerche e consegnano il risultato all’utente, che pagherà il resto di quanto dovuto a seconda delle note di interesse ritirate (con importi variabili se visionate al monitor o stampate).
A quel punto, si legge negli atti, i carabinieri hanno effettuato una verifica mirata per accertare se ci fosse traccia nella documentazione ufficiale del materiale richiesto dai “visuristi“ (i collaboratori dei professionisti specializzati in questo genere di mansione) telefonicamente o via sms a Bozzini e Di Santo. Risultato: nulla, "ottenendo così la conferma che la predetta documentazione è stata emessa e consegnata in violazione delle procedure previste e sottratta al pagamento delle previste tasse ipotecarie". È emersa così la solidità dei racconti degli onesti, che avevano scattato una fotografia choc della situazione: dal figlio geometra di un dirigente che girava tranquillamente nell’ufficio del padre a un qualcosa che sembrava "denaro arrotolato" passato di mano; dalle pratiche "gestite in maniera personalistica" alle vanterie di Di Santo, che sosteneva di "poter lasciare la moglie a casa senza lavorare per le copie che faceva agli utenti privati". Le immagini registrate dalle microcamere installate dai militari e le intercettazioni ambientali hanno confermato in pieno "l’ampia e diffusa illegalità all’interno degli uffici": in più occasioni, è stato documentato il passaggio di contanti, con Bozzini, ad esempio, che li riponeva prima in un cassetto della scrivania e poi nella borsa. Inoltre, lo studio di movimenti e parole utilizzate hanno spinto il giudice a parlare di "modalità operative evidentemente consolidatesi nel tempo, attraverso le quali" gli indagati riuscivano "a perfezionare, con comunicazioni stringate e standardizzate, le loro transazioni illecite".
Le conclusioni del gip sono desolanti: "Emerge che tutti i pubblici ufficiali indagati (compresi quelli nei confronti dei quali non si procede in via cautelare) lavorano in un ambiente non solo consapevole, ma addirittura favorevole a condotte illecite, dal momento che quasi tutti i dipendenti agevolano il perseguimento di interessi privati". E la dimostrazione di ciò starebbe "nella disponibilità di molti impiegati (anche in posizione apicale) alla consegna della documentazione “commissionata“ ai corrotti, quando gli stessi non sono in ufficio per ferie e, in generale, nel clima quantomeno di omertosa indifferenza manifestata". Eccezion fatta per i due dipendenti coraggio.