
Sei patteggiamenti da un anno e due mesi fino a due anni, tre condanne in abbreviato e un’assoluzione. Ventisei persone, inoltre, sono state rinviate a giudizio. Lo ha deciso ieri il gup Roberto Crepaldi che ha accolto la richiesta del pm Grazia Colacicco nell’ambito dell’inchiesta su un presunto sistema di corruzione nelle aste giudiziarie del Tribunale di Milano gestite dalla Sivag. Il sistema descritto dal pm ruota in particolare attorno a Massimo Cella, un banditore d’asta della Sivag, l’istituto per le vendite giudiziarie, società nei cui confronti invece il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione. I reati contestati - corruzione in atti giudiziari, falso in atto pubblico e turbativa d’asta aggravata - coprono un arco di tempo dal 2012 al 2014.
In vari casi, secondo la ricostruzione della Procura, Cella ha commesso turbativa d’asta, per danneggiare il creditore e favorire la società debitrice posticipava appositamente le date di svolgimento delle aste in cambio di denaro o altro. Come ricostruito dall’indagine, in varie occasioni falsificava il verbale d’incanto affermando che i beni pignorati erano rimasti invenduti per mancanza d’offrente, consentendo così al debitore, con cui si era messo d’accordo nelle telefonate intercettate, di rientrarne in possesso, in alcun casi per cifre irrisorie. In cambio di una mazzetta da 2.500 euro, Cella avrebbe truccato l’asta dei beni dal valore di 173mila euro di un pastificio di Trezzano sul Naviglio che, dopo il fallimento, aveva debiti per circa 110mila euro. In altri casi finiti nell’inchiesta, era decisamente inferiore il valore dei beni all’incanto (talvolta mobili, elettrodomestici, ma anche un monumento funebre in granito rosso o un van) e della tangente, ma il modus operandi non variava.
A.G.