BARBARA CALDEROLA
Cronaca

La vittoria di Alberto Batini, il medico sotto minaccia: “Denunciai: paziente condannato”

Il pressing per il certificato: “Firma o finisce male”. Il sanitario: la legge funziona, ma c’è tanto sommerso

Segrate (Milano) – Sei mesi di reclusione al paziente violento che lo minacciò in studio perché pretendeva un certificato. “Giustizia è fatta”, dice Alberto Batini, medico di famiglia che dopo l’episodio a Pozzuolo Martesana, nell’hinterland milanese, assunse una guardia del corpo per proteggersi dall’aggressività della gente che poteva capitare nel suo ambulatorio.

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Il dottor Alberto Batini in studio: dopo l’esperienza di Pozzuolo Martesana oggi lavora a Segrate Il suo appello ai colleghi è di denunciare: “Per dire basta, bisogna avere il coraggio di uscire allo scoperto”

Soddisfatto?

“Sì. Credo che questa sentenza sia un segnale importante. Dovrebbe spingere i colleghi a denunciare, come ho fatto io. E nonostante la legge stia correndo in questa direzione - l’arresto differito è senza dubbio uno strumento di contrasto a tutto quel che la categoria subisce - il sommerso è ancora tantissimo. Sono nel sindacato, tocchiamo con mano questi problemi ogni giorno. Gli episodi si moltiplicano, è un fenomeno che non conosce sosta al quale bisogna mettere un freno”.

A lei cosa successe?

““O firmi, o finisce male” mi disse senza troppi giri di parole l’assistito. Mi aveva chiesto una dichiarazione di guarigione per l’assicurazione. Voleva subito il risarcimento, ma io non ero convinto che il caso fosse risolto. E mi sembrava giusto approfondire la situazione. Quando gliel’ho detto, ha avuto una reazione inaspettata. È letteralmente impazzito. “Se avvisi i carabinieri, sarà ancora peggio”, aggiunse. Ero a tre mesi dalla laurea e non avevo mai avuto così tanta paura in vita mia. Cedetti per timore, ma andai subito in caserma a sporgere denuncia. La sera prima anche un suo parente mi aveva “raccomandato” la pratica”.

Il terrore è rimasto?

“Sempre. Tanto che assunsi un body-guard che si camuffava tra i malati in sala d’attesa, pronto a intervenire davanti ad altre intemperanze. Una precauzione che nel tempo ho sostituito con un pulsante sotto alla scrivania collegato a un istituto privato di vigilanza. Basta premere e loro arrivano”.

Lasciò l’incarico a Pozzuolo Martesana?

“Dopo più di un anno. Ora esercito a Segrate. Non me la sentivo di mollare 1.200 persone senza nessun punto di riferimento. Sono state proprio loro a darmi la forza di affrontare la situazione ogni giorno. Chi non ha vissuto cose del genere fatica a capire. Ma io ancora oggi, se mi trovo solo a passare dalle parti di Pozzuolo, sudo freddo. Ho anche pensato di lasciare la professione. Alla fine ha vinto il desiderio di curare chi soffre, che è poi stata la molla che mi ha spinto a diventare medico. I pazienti sono parte di noi, entrano nella nostra vita, ci pensi, soffri con loro quando stanno male. Gioisci, quando guariscono. È questa l’essenza del nostro mestiere”.

Ma mentre lavorava era sempre in ansia.

“Costantemente. Sentivo che io e la mia famiglia eravamo in pericolo. Ero in allarme anche per i miei parenti. Un’esperienza che mi ha segnato. Penso spesso a Giorgio Falcetto, il medico ucciso a colpi di ascia a San Donato. Lo conoscevo. Credo che querelare di più ci aiuterà a evitare altre tragedie del genere. Bisogna avere il coraggio di dire no all’ondata di violenza che ogni giorno tocca noi medici di famiglia e chi opera nei pronto soccorso. Non c’è settimana in cui non ci siano aggressioni al personale sanitario. Per dire basta, bisogna avere il coraggio di uscire allo scoperto. Il sindacato è al nostro fianco”.