Riccardi
Nel secolo breve (‘900) sono scoppiate le scintille che hanno prodotto due guerre sanguinose in Europa. La guerra fredda, che ne è succeduta, ha prodotto un clima di relativa stabilità grazie al dominio Usa, poi paradossalmente incrinatosi per la caduta del Muro con la conseguente dissoluzione dell’Urss. Che, nonostante avversaria, era in accordo sotto traccia con gli yankee per tenere divisa l’Europa. Nata per risolvere la gravità della crisi economica post-bellica e nell’auspicio che il Vecchio Continente non fosse più teatro di scontri armati. Questo periodo, di grande vivacità economica, sembrava dovesse coesistere sotto il segno della “fine della storia”.
Invece passato, soltanto un quarto, si stanno delineando i contorni di un cambiamento epocale. Alla perdita di autorità globale (è frettoloso parlare di un inesorabile declino) dello “zio Tom“, avanza prepotentemente il Dragone che punta a divenire la prima potenza economica terrestre. Senza tralasciare il suo potenziamento militare che, oltre ad una eventuale improbabile offesa, è il deterrente per evitare conflitti distruttivi. In particolare con i competitors di oltreoceano.
Tutti auspicano la pace. Ma pacifismo non vuole dire ordine globale. Come già ammoniva Sant’Agostino “ubi terror, ibi salus”. Dove c’è il terrore c’è la salvezza. E lo dimostrano le guerre in Ucraina ed in Medioriente per citare quelle che potrebbero portare ad uno sconvolgimento foriero prodromico di un disordine mondiale distruttore. Finito l’ottimismo, quello della ragione, ci dobbiamo rassegnare al pessimismo più cupo? Certo che no. Senza chiudersi nella torre d’avorio distante dalla realtà, bisogna agire con coraggio e decisione. L’Europa ha necessità di una strategia messa a punto “sine ira et studio”. Da entità geografica di natura commerciale dovrà, se non vuole scomparire, avere unità politica. Epperò armata per difendere la pace.