Milano, 16 gennaio 2023 - Arrestato il super latitante Matteo Messina Denaro, alla clinica Maddalena di Palermo dove era in cura. Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano (Tp) Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, era latitante dall'estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l'inizio della sua vita da Primula Rossa. "Sentirai parlare di me - le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità". Il capomafia trapanese è stato condannato all'ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell'acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del '92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del '93 a Milano, Firenze e Roma.
L'ultimo boss latitante
Messina Denaro era l'ultimo boss mafioso di "prima grandezza" ancora ricercato. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell'ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.
Le mani di Cosa Nostra su Expo
Cosa Nostra aveva messo le mani anche sugli appalti in Fiera e sulla costruzione di alcuni padiglioni di Expo. Nell'affare era coinvolto anche Messina Denaro. Si era trattato di appalti per un giro di 20 milioni di euro, dal 2013 al 2016. Secondo gli investigatori della procura di Milano, dietro le preziose rifiniture in legno del padiglione francese e gli stand di Qatar, Guinea Equatoriale, Camerun e Costa d’Avorio c'era la mafia. L’indagine della Dda aveva portato all' arresto di 11 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari (emissione, utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, omessa dichiarazione dei versamenti Iva), al riciclaggio e all’appropriazione indebita.
Le infiltrazioni in Fiera
Al centro dell’inchiesta le infiltrazioni della criminalità organizzata nella società consortile Dominus, alla quale Nolostand – società che gestiva gli allestimenti degli stand per conto della controllante Fiera Milano spa – ha affidato i lavori della kermesse 2015 e non solo. "È chiaro che un meccanismo come quello emerso dalle indagini è stato reso possibile da amministratori di aziende, consulenti, notai e commercialisti che non hanno voluto vedere quello che accadeva intorno a loro", scrisse il gip di Milano Maria Cristina Mannocci. Tra gli arrestati Giuseppe Nastasi, amministratore di fatto del consorzio di cooperative Dominus.
Il denaro da Milano alla Sicilia
Il pm Storari aveva sottolineato come la società fosse stata inghiottita in quella "zona grigia" in cui tutto avviene per "superficialità e sciatteria", in cui persino una lettera anonima che accusava Nastasi di essere un mafioso veniva cestinata con leggerezza. Intanto Cosa Nostra faceva affari importanti. Il denaro, nascosto in doppifondi di camion e persino nello scatolone di una piscina gonfiabile, veniva portato giù in Sicilia – grazie ai legami ipotizzati con una cosca trapanese vicina a Messina Denaro – in contante o depositato su conti esteri in Slovacchia, Slovenia, Romania e Liechtenstein".
L'indagine Eden 3
Altri affari di Messina Denaro legati a Milano emersero con l'indagine Eden 3, iniziata nel novembre 2019. Sei delle posizioni dei 19 indagati erano state infatti trasferite da Palermo alla Procura milanese. Era stata scoperta, nel capoluogo lombardo, una maxi-associazione finalizzata al traffico internazionale di droga guidata da Cosa Nostra e dal boss castelvetranese. Agli arresti finirono tre trafficanti di droga che dal 2013 al 2018 avrebbero importato grosse quantità di hashish lungo la rotta Marocco-Spagna-Italia. Secondo la Procura molti dei 19 indagati agivano per sostenere i detenuti della famiglia mafiosa vicina a Messina Denaro.
La telefonata con "iddu"
I tre arrestati, l’ex avvocato Antonio Messina, 73 anni, Giacomo Tamburello, 59 anni, e Nicolò Mistretta, di 64, tutti originari di Campobello di Mazara e pluripregiudicati per traffico di droga, erano considerati vicini al boss latitante e tutti strettamente legati ad "affari" milanesi e nell'hinterland. Per gli inquirenti Antonio Messina aveva avuto un ruolo di rilievo e avevastretto legami con il narcotrafficante Giuseppe Fidanzati, figlio del boss Gaetano Fidanzati, a capo della famiglia mafiosa dell’Acquasanta. Fidanzati parlò di una persona incontrata alla stazione di Trapani e che chiamò "iddu". Secondo gli inquirenti quella persona era Matteo Messina Denaro.
Gli affari a Milano e Peschiera Borromeo
Tra le altre persone indagate Luigi Mendolicchio che, secondo gli inquirenti faceva incontri legati al traffico di droga presso l’autosalone Pegaso di Milano e rappresentava l’anello di congiunzione tra i trafficanti vicini a Messina Denaro e il calabrese Vincenzo Stefanelli. Altro nome di spicco il calabrese Giovanni Morabito, coinvolto ad esmpio nell'acquisto di una partita di 300 chili di hascisc insieme a Giacomo Tamburello. Morabito aveva acquistato una casa a Peschiera Borromeo dove gli uomini della Dda di Palermo avevano immortalato gli incontri tra trafficanti e Giuseppe Fidanzati. Un altra "base" della narcorete del boss Matteo Messina Denaro all'ombra della Madonnina.