GIULIA BONEZZI
Cronaca

I migranti della salute, ogni anno 750mila italiani si curano lontano da casa

Un rapporto Censis fotografa le dimensioni di questo "fenomeno fantasma"

Quasi la metà dei migranti sanitari cercano cure di qualità. 62.700 vengono in Lombardia

Milano, 21 marzo 2018 - Sono un milione e mezzo all'anno i migranti sanitari: italiani che si spostano senza varcare i sacri confini, per curarsi o accompagnare qualcuno a farlo in un'altra regione. Un'indagine, commissionata al Censis dalla onlus Casamica che a Milano ne ospita 4mila all'anno, restituisce una fotografia non scontata di questo «fenomeno fantasma». «Un fenomeno sociale complesso - chiarisce Giulio De Rita del Censis - che ne contiene almeno tre». Dei 750 mila ricoverati annuali fuori dalla regione di residenza (735 mila escluse nascite e lungodegenze, il 10% per cause contingenti come un incidente), il 12% è a non più di 50 chilometri da casa, uno su quattro non supera i 100 ma quasi altrettanti (il 23%) ne macinano più di 400. Quasi metà dei migranti sanitari non sono motivati dall'assenza di alternative, ma dalla ricerca di cure di qualità (la stessa che spinge i lombardi a far lievitare le liste d'attesa in alcuni istituti famosi). Perlopiù non hanno patologie gravi, oppure non fanno molta strada. Ad esempio, 230 mila malati si spostano tra due regioni del Nord, e 119 mila dalle nove meno popolose alle nove più grandi (16 mila arrivano in Lombardia), ad esempio verso i 12 grandi poli ospedalieri che da soli attirano il 25% dei pendolari; due, l'Istituto nazionale dei tumori e il San Raffaele, sono a Milano. C'è poi un 30% che fa una scelta «logistico-pratica», come i «transfrontalieri» per cui è più comodo l'ospedale della regione limitrofa. Piemonte e Lombardia si “scambiano” più di 40 mila pazienti l'anno. Perché sì, dalla Lombardia nel 2015 sono partiti 62.678 residenti: 49.399 per curarsi in altri ospedali del Nord, 5.692 verso il Centro e 7.587 sono andati al Sud.

Più di un migrante su quattro, il 26%, lo è invece «per necessità», cioè non trova le cure di cui ha bisogno nella sua regione, perché non ci sono o i tempi sono troppo lunghi; e qui il flusso è soprattutto da Sud a Nord. Sono 218 mila l'anno gli esodi sanitari oltre i 400 chilometri, soprattutto verso ospedali pediatrici, ortopedici e oncologici. In generale sono casi più gravi e complessi. Le regioni a maggior partenza sono la Campania (56 mila esodi l'anno), Sicilia, Calabria e Puglia. La Lombardia è la principale destinazione: 62.700 migranti a lunga distanza in entrata nel 2015. Se il servizio sanitario nazionale «va in pari», non così le Regioni: la Calabria per rimborsare terapie extraregionali perde 265 milioni di euro l'anno, il 7% del suo budget sanitario, invece d'investirlo nei propri ospedali. La Campania 235 milioni, la Sicilia 155, in una spirale che vede salire i pazienti in parallelo agli infermieri disoccupati. Al Nord, se il Piemonte va in perdita di 60 milioni, la Lombardia è la Regione che guadagna di più: 580 milioni l'anno per curare i malati del resto d'Italia. Ma quasi metà, segnala il Censis, finisce alle strutture private convenzionate. Pagano anche i pazienti: l'85% dei migranti a lunga distanza ha un accompagnatore, uno su tre ha speso oltre 500 euro per l'alloggio e oltre 100 per il vitto, il 12% s'è dovuto assentare dal lavoro. In generale, chiosa De Rita, se 400-450 mila dei migranti sanitari fronteggiano «difficoltà gestibili», gli altri 300-350 mila affrontano «difficoltà sommate» e circa centomila «moltiplicate»: malattie gravi, trasferimenti lunghi e costosi, anche di entrambi i genitori dei 70 mila migranti minorenni.

«Bisogna agire sul bisogno», conclude: «campagne informative» per chi si sposta senza necessità, e «concentrare gli interventi sull'area della drammaticità». Contando gli accompagnatori 180 mila persone, 90mila famiglie «che affrontano una prova durissima e trovano risposte assolutamente inadeguate», cioè «solo la buona volontà del personale sanitario e uno sparuto gruppo di associazioni che li accoglie fisicamente e moralmente». «Non siamo istituzionalizzati in alcun modo», conferma Stefano Gastaldi, il direttore di Casamica. Il popolo «a rischio panchina» invece è un fenomeno non nuovo né troppo figlio della globalizzazione a Milano: Lucia Vedani fondò la onlus nell'86, dopo aver visto i parenti dei malati dormire in auto intorno all'Istituto dei tumori e ai giardinetti di piazzale Gorini.