Milano - “Ci voleva l’appello di cento intellettuali per accendere i riflettori sul paesaggio italiano e, in particolare, su quello circostante Orvieto che rischia di essere devastato dalle pale eoliche” racconta Ilaria Borletti Buitoni. “Negli ultimi anni stiamo assistendo a un assalto al paesaggio, fra cui quello lombardo, come non si vedeva dagli anni ‘70: i piani paesaggistici si sono arenati, le soprintendenze sono state private di mezzi e personale, la politica si è allontanata, sia nella maggioranza che nell’opposizione, dal tema della tutela del paesaggio”.
Presidente della Società del Quartetto di Milano, vicepresidente nazionale del Fai, deputata della XVII Legislatura per il Partito Democratico, è stata sottosegretario di Stato del ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo. Nata e cresciuta a Milano, ha vissuto a lungo a Londra. Borletti Buitoni svela l’amore appassionato per la sua città e per il Bel Paese.
Presidente, partiamo dall’indignazione scatenata dall’installazione delle pale eoliche.
“Purtroppo non sono mai andati avanti i piani paesaggistici, né in Umbria né in Lombardia. Questi progetti sono fatti in aree prive di vincoli paesaggistici, dove non può intervenire la sovrintendenza. Il concetto di cono di vista è fondamentale: se nella campagna umbra metti le pale eoliche non si vedrà più Assisi. E non dimentichiamoci che Milano ha una percentuale di territorio urbanizzato che rappresenta oltre il 30% di tutta la provincia”.
Come giudica i cambiamenti di Milano?
“Una città moderna, efficiente, proiettata al futuro e all’Europa come questa non può che cambiare. Ma un conto è il cambiamento, un conto è avallare un disordine urbanistico che, pur aggiungendo elementi di interesse come i grattaceli di City Life, snatura l’identità della vista. La grande scommessa, quando si parla di pianificazione sistemica, è aprire la porta a una città del futuro lasciando che il linguaggio paesaggistico urbano del passato venga collegato e non cancellato. La modernità deve essere accolta con una pianificazione sistemica, solo così il paesaggio urbano diventerebbe meno slabbrato”.
Molti nuovi quartieri, pur nella loro magnificenza, sembrano non luoghi: al posto della piazza di un tempo c’è un grande centro commerciale.
“La nostra società è “liquida”, come dice Bauman. La nostra epoca non ha più punti di riferimento con cui identificarsi. I cambiamenti urbanistici delle nostre città rispondono a questa realtà e non la contrastano. Vengono pianificate nuove comunità, ma non hanno richiami che possono renderle tali. È importante capire che quando diciamo paesaggio non intendiamo solo le belle colline, ma anche il contesto urbano in cui si vive. Una gestione intelligente del paesaggio urbano migliora la salute, la qualità della vita, il senso di comunità. Il recupero di un quartiere degradato diminuisce il tasso di criminalità, è un dato appurato. Milano dovrebbe considerare non solo lo sviluppo dei nuovi quartieri, ma una pianificazione precisa di verde, sovrastrutture e punti di ritrovo per tornare a essere un’unica, grande comunità”.
E la Brianza decantata da Stendhal?
“Oggi fra logistica, data center, centri commerciali, ipermercati: è sempre più un’area immensa senza identità. Non solo è diventata brutta, ma non ha personalità e le comunità che vi abitano spesso non si sentono a loro agio”.
Sempre più stranieri comprano a cifre folli appartamenti a Milano. Dove andranno i milanesi?
“È il problema di tutte le megalopoli: nel centro di Londra non c’è più un inglese, solo investitori internazionali. Lo stesso sta accadendo a Parigi e in altre città del mondo. L’Italia è un caso a sé sia perché ha un intreccio di secoli e culture infinitamente più importanti di altri Paesi sia perché nel suo paesaggio, essendo un territorio piccolo, la mano dell’uomo e la natura si continuano a incrociare. Da noi la tutela del paesaggio, anche quello urbano, deve essere fatta con cautela. Dopo le leggi sulle semplificazioni - fra cui quella del 2022 sulla transazione energetica - è passata l’idea del “liberi tutti”. In un Paese indisciplinato come il nostro è la catastrofe. Non dobbiamo stravolgere l’identità di Milano in nome di una modernità che schiaccia qualunque legame sul passato: ne va della vita di ognuno”.
Entro il 2050 l’europa imporrà il consumo di suolo zero.
“L’Italia ha quello più alto di tutta Europa. Non possiamo frenare l’industria edile così trainante per il Paese ma, anziché costruire, dovremmo riconvertire ciò che già esiste. Dobbiamo affrontare la transizione energetica, allora perché non incentivare il riutilizzo dei capannoni industriali per evitare che il passaggio diventi devastante per il paesaggio?”