NICOLA PALMA
Cronaca

In Tribunale lo spot con la voce di Mina: la società dell’artista chiede 90mila euro

Al centro della contesa, i ricavi per l’utilizzo della versione "Il cielo in una stanza" di Mina nello spot della Vodafone del 2007

Mina

Milano, 21 dicembre 2019 Dieci anni di battaglia legale. Al centro della contesa, i ricavi per l’utilizzo della versione "Il cielo in una stanza" di Mina nello spot della Vodafone del 2007. In ballo la cifra di 90mila euro, che la Gsu Sa Edizioni Musicali, società svizzera che detiene i diritti di sfruttamento del nome e dell’immagine dell’artista, pretendeva dalla Carosello Edizioni Musicali per l’accordo relativo alla pubblicità dell’azienda telefonica. Due giorni fa, la Cassazione ha chiuso la diatriba: ricorso della Gsu presentato in ritardo, tutto resta com’è. Ripartiamo dall’inizio. Cioè dal 15 febbraio 2002, quando Gsu, marchio elvetico che rappresenta la "Tigre di Cremona" e che ha sede allo stesso indirizzo di Lugano della sua casa discografica Pdu, firma un’intesa con Carosello, titolare dei diritti di sfruttamento delle registrazioni "facenti parte del repertorio del produttore fonografico Ducale spa".

Il contratto prevede il pagamento a Gsu di una percentuale sui diritti di sfruttamento delle registrazioni con l’interpretazione della cantante. In particolare, ricostruiscono i giudici, "Carosello avrebbe dovuto riconoscere a Gsu il 50% di quanto percepito per l’utilizzazione dei brani musicali in questione". Non basta: la società si impegna pure "a ottenere la preventiva autorizzazione della controparte (Gsu, ndr) per la sincronizzazione delle registrazioni comprese nell’accordo con immagini di qualsiasi tipo, nonché in colonne musicali e in comunicati pubblicitari televisivi o radiofonici". È il caso dell’ottobre 2007, quando Carosello chiede a Gsu il via libera per utilizzare l’immortale capolavoro di Gino Paoli "Il cielo in una stanza" nella versione di Mina "come colonna sonora di un filmato pubblicitario per i servizi di telefonia mobile della società Vodafone BV". Il lasciapassare di Gsu arriva, a patto che vengano riconosciuti all’artista 150mila euro. Carosello non risponde alla richiesta, ma nel frattempo lo spot va in onda. Gsu scopre qualche tempo dopo, dall’analisi del rendiconto semestrale di Carosello, che per quella pubblicità incasserà 60mila euro, la metà di quanto incassato da Carosello. Gsu fa causa, chiedendo il risarcimento di 90mila euro, la differenza tra i 150mila richiesti e i 60mila effettivamente percepiti. Sia in primo grado che in Appello, i giudici respingono il ricorso, ritenendo che nel contratto stipulato non ci fosse nessuna clausola che subordinasse il sì alla pubblicazione "alla corresponsione di una determinata somma". Si arriva così in Cassazione, che conferma quanto già stabilito nel merito. Il motivo? L’impugnazione è stata presentata fuori tempo massimo. Risultato: 90mila euro in fumo per Gsu e beffa da 6mila euro per le spese legali.