Milano - La progressiva escalation di violenza che ha coinvolto le baby gang, scatenando un clima di generale insicurezza, aveva convinto Monica Forte, presidente della commissione Antimafia di Regione Lombardia, a esprimere la propria condanna, con un video apparso sui social, verso i messaggi espliciti di istigazione a delinquere presenti nei testi delle canzoni di alcuni trapper e rapper, e richiamando i diretti interessati a una presa di responsabilità nei confronti del giovane pubblico a cui i messaggi sono diretti. Tutto ciò, ancor prima che si concretizzassero gli arresti relativi alla faida Simba La Rue - Baby Touche. "Il video doveva essere una critica costruttiva, tant’è che ho utilizzato TikTok, una piattaforma quasi esclusivamente frequentata dai giovani: parlare di droga, omicidi e rapine, denigrando la figura femminile, influisce irrimediabilmente sulle personalità dei più piccoli, ancora in fase di costruzione" racconta la presidente. Il video come da previsioni ha generato un forte dibattito mediatico con diversi pareri in accordo con Forte, ma anche parecchi utenti che hanno difeso i testi dei trapper, definendoli racconti di vita, ma la consigliere regionale non immaginava che la polemica potesse generare delle pesanti intimidazioni nei suoi confronti.
«A farmelo notare sono state delle persone a me molto care: un profilo anonimo aveva pubblicato un messaggio che riprendendo le mie parole conteneva minacce di morte alla mia figura. Una situazione aggravata dalle centinaia di migliaia di condivisioni del contenuto incriminato, che ho subito denunciato alla polizia postale". Attualmente sono in corso le indagini per risalire alla persona che si cela dietro al profilo anonimo ma quanto accaduto non fa che confermare l’incapacità di tracciare un limite tra mondo virtuale e reale, come se ciò che appare sui social non possa avere poi conseguenze concrete. «Il fatto che un messaggio intimidatorio sia stato rivolto a me anche in qualità di istituzione, fa ben comprendere come stia maturando una perdita di rispetto verso lo Stato. Detto questo, se il compito di repressione va relegato alle forze dell’ordine, di fronte a certi episodi si rende doverosa un’analisi collettiva: bisogna capire se la rabbia repressa derivi da una condizione sociale di abbandono, dalle insicurezze generate dalla crisi socio-economica o da una mancata integrazione".