
Minacce e telecamere rotte. Condannato a 3 anni e 6 mesi il boss dei Casalesi Zagaria
Tre anni e sei mesi di reclusione. La Cassazione ha reso definitiva la condanna all’ex boss dei Casalesi Michele Zagaria per i fatti avvenuti nel maggio del 2018 a Opera: i giudici hanno ridotto di un mese la pena, accogliendo solo uno dei motivi di ricorso presentati dai legali del sessantacinquenne di San Cipriano d’Aversa e confermando nel resto il verdetto emesso lo scorso 7 marzo dalla Corte d’Appello di Milano. I fatti contestati a Zagaria, arrestato il 7 dicembre 2011 in un bunker di cemento armato a Casapesenna dopo 16 anni di latitanza, risalgono al maggio 2018, quando era all’ergastolo al 41-bis a Opera (ora si trova a Sassari dopo un passaggio a Tolmezzo). In quel periodo, stando alle accuse, "Capastorta" aveva danneggiato col bastone di una scopa le telecamere installate nella sua cella. Non basta. Sempre secondo la ricostruzione della Procura, il boss aveva rivolto minacce esplicite al direttore del carcere ("Lo paragono a una busta di immondizia, e io l’immondizia la butto fuori") e agli psichiatri: "Come hanno fatto mettere a me la busta in testa, così posso fargliela mettere a loro".
E ancora: il 18 maggio, se l’era presa con una guardia penitenziaria, offendendola ad alta voce per farsi sentire dagli altri reclusi, e poi aveva detto a un altro agente: "Faccia pure il suo lavoro, grazie... deve cancellare dal rapporto la parte dove io le dico di avvicinarsi di più al cancello della cella per aggredirla, oppure deve strappare il foglio". La Cassazione ha ritenuto provata l’aggravante mafiosa: "La Corte territoriale – si legge nelle motivazioni – ha correttamente applicato tale principio analizzando le frasi e il contesto carcerario in cui sono state pronunciate, ove a tutti erano noti lo spessore criminale dell’imputato e il suo inserimento ai vertici della consorteria mafiosa di appartenenza, così come era ben conosciuto il fatto di essere ristretto nel settore dei detenuti in regime di 41-bis, con conseguente enfatizzazione della portata minatoria delle locuzioni utilizzate". L’unico motivo accolto, che ha portato alla riduzione della pena da tre anni e sette mesi a tre anni e sei mesi, è quello legato al reato di lesioni: i giudici hanno dichiarato l’improcedibilità per mancanza di querela, a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia.