Milano - Allargare lo spettro delle figure professionali che possono intervenire in soccorso di quei minori che hanno una disabilità talmente grave da dover essere assistiti a domicilio: è questa la richiesta avanzata dagli enti che per conto della Regione Lombardia si occupano proprio di assistenza domiciliare integrata (Adi). Una richiesta che, qualora fosse accolta, consentirebbe di alleviare – non ancora di risolvere – un problema che si sta facendo sempre più critico: la mancanza di infermieri che vadano ad assistere questi minorenni nelle loro case.
Come già riportato, le storiche carenze di personale infermieristico sono state acuite dalla pandemia, che ha fatto aumentare la richiesta di infermieri sia negli ospedali sia nei centri vaccinali a scapito di servizi meno attrattivi dal punto di vista delle retribuzioni come l’assistenza domiciliare integrata. Da un anno e mezzo a questa parte accade che le famiglie di questi bambini vedano ridursi le ore di assistenza assicurate dagli enti tramite i loro infermieri o ricevano un rifiuto quando chiedono che i figli siano assistiti perché, come detto, gli enti non trovano infermieri.
Da qui “il piano B“, da qui la richiesta di dare facoltà di intervento anche ad altre figure professionali, qualora ci sia un’urgenza non differibile e qualora non siano presenti le uniche due figure finora autorizzate a farlo per legge o per prassi: gli infermieri, nel primo caso, e i caregiver famigliari, che altro non sono che le mamme, i papà o i parenti stretti dei bambini in questione. Una richiesta alla quale solo il Governo può dar corso e sulla quale la Regione si sta confrontando con gli enti.
«Il punto – spiega Maurizio Marzegalli, vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi – è chi possa occuparsi della cosiddetta “assistenza diretta“, quindi chi può intervenire sul minore, chi può prestargli soccorso. La legge stabilisce che possa farlo solo il personale sanitario, quindi gli infermieri. Ma è prassi comunemente accettata che lo facciano anche i caregiver, che pure non sono personale sanitario. Il paradosso è che le figure del sociosanitario, quindi gli Operatori Socio Sanitari, o figure di altro tipo quali gli Assistenti Famigliari, devono astenersi dagli interventi diretti sul minore perché non rientrano tra gli operatori sanitari. E poco importa che nemmeno i caregiver siano sanitari".
La conseguenza è che infermieri e famiglie non hanno supporto e se mancano i primi, come accade da mesi, tutto ricade sulle seconde.«Chiediamo – spiega Marzegalli – che, almeno in caso di urgenza non differibile, sia permesso l’intervento anche delle figure del sociosanitario perché questo andrebbe ad alleviare la grave emergenza dovuta alla mancanza di infermieri e sgraverebbe in parte anche i caregiver, che non possono umanamente garantire un’assistenza continuativa, 24 ore su 24, come invece sono costretti a fare da tempo".
"La Regione, nella delibera sul Fondo per le non autosufficienze, riconosce e disciplina il cosiddetto “personale d’assistenza“ al quale possono ricorrere le famiglie con disabili gravissimi a carico, ma – conclude Marzegalli – senza l’intervento del Governo il supporto di tale personale resta monco". "Trovo che sia giusto pensare all’introduzione di figure intermedie che possano andare incontro alle esigenze delle famiglie – spiega Alessandra Locatelli, assessore regionale alla Disabilità – e so che in Regione ci sono tavoli ai quali se ne sta ragionando. Sottolineato questo, è necessario agire con cautela e coinvolgere tutte le categorie professionali toccate dal tema. Al tempo stesso il Governo deve dare un segnale chiaro sul potenziamento delle figure sanitarie".
giambattista.anastasio@ilgiorno.net