ANNA MANGIAROTTI
Cronaca

La mortadella? È nata a Milano. Un curato goloso umilia Bologna

La ricetta originale in un registro dei battesimi della fine del Seicento

Una tipica mortadella di produzione artigianale

Milano, 15 ottobre 2016 - Mortadella, o bologna. La regina rosa dei salumi. Un prodotto gastronomico diventato sinonimo della sua proclamata zona d’origine, l’Emilia influenzata da etruschi e romani. Là dove la «murtada» si associa facilmente all’impiego del «mirto», pianta mediterranea, nella stagionatura. E dove ad apporre un sigillo di garanzia in ceralacca già nel Settecento erano autorizzati solo i salumieri entro le mura della città felsinea. Ma i milanesi possono ora rivendicare la legittima spettanza di stemma, titolo e relativi predicati nobiliari. Con quale diritto, lo spiega un esperto restauratore e conservatore del patrimonio librario, Luciano Sassi. Tanto abile nel mettere il naso tra i più vari e antichi scartafacci, quanto tra i gusti e gli aromi della storia dell’alimentazione. Cos’ha scoperto? «La scoperta, questa volta, l’ha fatta la signora Franca Pincella, archivista volontaria nell’Archivio Diocesano di Guastalla. Mentre consulta un registro di battesimi dal 1690 al 1744 della Pieve di san Martino, alla fine trova una ricetta: la mortadella milanese». Ma come, sacro e profano non si escludono? «L’opposizione è rispettata: il foglio con la ricetta si trova incollato alla copertina. Nessuna interferenza sulla sacralità del liber baptizatorum. La sorpresa, semmai, sta nell’attributo “milanese”. Dal punto di vista storico ha un significato notevole. Quando la signora, pure lei appassionata di cucina, mi mostra la foto del documento, ho un sussulto: alla faccia della mortadella bolognese!».

Chi può aver lasciato questa testimonianza? «A mio parere, un curato goloso. Aveva conosciuto un commerciante o un produttore, e si era fatto dare la ricetta, databile alla fine del Seicento. E l’aveva trascritta, sopra quella del cotechino cremonese. Due ghiottonerie ben identificate. Per puro caso segnalate a Guastalla, territorio mantovano». Libera circolazione della cultura. «Già. La mortadella non era ancora un salume industriale, ma una preparazione casalinga diffusa (infatti nella ricetta si dà per scontata la cottura). Carne ben spappolata nel mortaio (così si spiega l’etimologia), fino a diventare crema. Variamente insaporita. Chiusa nell’omento (pellicola grassa trasparente) a mo’ di pacchetto. E fatta cucinare lentamente, a temperatura moderata. Da consumarsi in pochi giorni. Nei secoli, si evolve. Sparisce il formaggio. S’introducono i cubetti di lardo. Però la formula base è sempre la stessa: per la mortadella milanese, come per la bolognese riportata in un manoscritto settecentesco della Biblioteca Estense di Modena; sostanzialmente invariata anche rispetto alla mortadella di vitello del 1464, firmata da Mastro Martino, l’archetipo rinascimentale del grande chef». Nativo della Val di Blenio.

Per primi, perciò, gli svizzeri possono sentirsi usurpati. Protesteranno? «Quel principe dei cuochi era suddito dei duchi di Milano. E nell’imbandire la tavola di Francesco Sforza affinò la sua fantasia creativa. Il succo della storia, insomma, è la nostrana antichissima tradizione che non conosciamo per niente, distratti dagli show televisivi. Cucinatevi invece, come ho fatto io, che provo sempre tutto, la mortadella ritrovata: eccezionale!»