Milano, 14 novembre 2024 – "Niente fiori per favore, se volete fate una donazione a un’associazione o a un progetto di impegno sociale pensando a Licia”. Lo chiedono Claudia e Silvia Pinelli, le figlie di Licia Rognini, la vedova dell’anarchico morto in Questura la sera del 15 dicembre 1969, dopo un lungo fermo seguito alla strage di Piazza Fontana, di tre giorni prima.
La donna, che per poco meno di 55 anni si è battuta perché si scoprisse la verità sulla vicenda del marito, che per anni è stata etichettata come suicidio, è scomparsa lunedì all’età di 96 anni, nella casa milanese che non aveva voluto abbandonare. Claudia e Silvia domani, venerdì 15 novembre, saluteranno la madre alle 14.30 nella Sala del Commiato della casa funeraria San Siro, in via Corelli 120. Dopo la cremazione, le spoglie di Licia Pinelli raggiungeranno quelle di Pino, nel cimitero di Turigliano a Carrara, dove riposano quelle di tanti anarchici.
Qui di seguito il racconto di quella tragica notte di 55 anni fa di Benito Sicchiero, all’epoca cronista de Il Giorno.
La notte fra il 15 e il 16 dicembre 1969 nella quale l’ex partigiano e anarchico Giuseppe Pinelli perse la vita cadendo dal quarto piano della Questura di Milano, dove si trovava l’ufficio politico, ero, giovane cronista, di “copertura” per Il Giorno in sala stampa della Questura; con me altri tre colleghi di testate diverse. Erano i giorni roventi delle indagini sulla strage della Banca nazionale dell’agricoltura. Verso le 23.30 con un collega ho raggiunto l’ufficio politico – senza trovare alcun ostacolo, come porte chiuse ad esempio – un lungo corridoio sul quale si affacciavano le porte in vetro zigrinato dei locali dove avvenivano gli interrogatori. Deserto, salvo la presenza di un giovane seduto su una panca che poi seppi essere l’anarchico Pasquale Valitutti, e silenzio assoluto; tanto che gridai più volte se c’era qualcuno.
“Come sabbia fra le mani”
Alla fine comparve dal fondo del corridoio il responsabile dell’ufficio Antonino Allegra. Gli chiesi se c’erano novità sulle indagini in quanto il giornale stava chiudendo per un’eventuale ribattuta. "Niente di nuovo – mi rispose – quando pensiamo di avere ottenuto qualche risultato tutto sfugge come la sabbia dalle mani”, confermando le parole con un gesto eloquente. Tornato in sala stampa e telefonato al responsabile della cronaca di turno, attesi la conclusione del mio orario. Ma poco prima di mezzanotte, uno schianto improvviso e una sonora bestemmia rimbombarono nel silenzio. Mi precipitai in cortile dove un gruppetto di agenti attoniti era fermo accanto al corpo di un uomo, perpendicolare al muro dell’edificio dove, al quarto piano, era situato l’ufficio politico, la testa rivolta al muro.
La corsa a casa della moglie
Era ancora in vita e rantolava. Mi chinai sul suo volto per cercare di carpire qualche parola, niente. Dopo qualche minuto raggiunsi la sala stampa e telefonai al giornale. I bravi colleghi si attivarono immediatamente. Mi inviarono l’auto di servizio e mi dissero di raggiungere la casa della moglie, la signora Licia Rognini. Arrivai a casa Pinelli pochi minuti dopo, suonai e rimasi in attesa. Nel frattempo mi raggiunse il collega Giampaolo Pansa. La signora Licia aprì la porta e le comunicai che il marito aveva avuto un grave incidente in Questura ed era ricoverato all’ospedale Fatebenefratelli. Ci andai anch’io apprendendo che Pinelli era deceduto. Seppi più tardi che Pinelli era stato invitato in Questura nell’ambito dell’indagine sulla strage di piazza Fontana senza alcuna specifica accusa, tanto che vi era arrivato in motorino. Fin qui la mia testimonianza, limitata dai molti anni trascorsi, ma allora recepita dal giudice D’Ambrosio che attribuì però la causa della morte a
un malore di Pinelli che ne causò la caduta.La finestra lasciata aperta
Per completezza di informazione, devo aggiungere che circolò insistentemente una versione, dotata di una certa logica, diversa dei fatti. Questa. Nonostante fosse dicembre, la finestra soffitto-pavimento della stanza dove si svolgeva l’interrogatorio era aperta per il caldo ed era protetta da una ringhiera molto bassa. In una realtà di grande tensione, sia per l’interrogato sia per chi interrogava, Pinelli, accanito fumatore, si trovava in piedi davanti alla finestra e si era girato di scatto per buttare la sigaretta. Uno dei sottufficiali presenti, grosso quanto Pinelli era minuto, mal interpretando il suo gesto, si sarebbe avventato su di lui tentando di trattenerlo e dandogli invece la spinta mortale.