CLAUDIO NEGRI
Cronaca

Addio a Beppe Maseri: l’Inter e il calcio raccontati con leggerezza. E quell’intervista a Nereo Rocco

È scomparsa la storica firma de Il Giorno. Mosse i primi passi nella professione seguendo lo squadrone di Herrera, di cui era tifoso. Poi una lunga carriera nel nostro giornale, fino al “terzo tempo” nelle tv private

Beppe Maseri

Beppe Maseri

Milano, 30 novembre 2023 – Pepòte, che combini? Un lontano giorno ad Appiano Gentile capimmo, in colpevole ritardo, quanto gli volevano bene anche le siepi e la boscaglia della Pinetina. C’erano Sandro Mazzola e Mariolino Corso di là dal fiume e tra gli alberi. Lo avevano riconosciuto da lontano e lo canzonavano amabilmente, come vecchi amici.

Che pasta d’uomo, Beppe Maseri, detto Pepòte: è andato in congedo illimitato provvisorio, come ci tocca quando la tocca, ma sarebbe stato il primo a sorriderne, con bonarietà un po’ stupita: "Mi fai leggere poi quello che scrivi su di me? Non vorrei che esagerassi con l’incenso e la mirra". L’arengo televisivo, frequentato negli ultimi anni con una certa assiduità, era solo il terzo tempo “sine cura“ della grande partita professionale giocata con onestà di parte interista, raccontando per parole scritte il divenire del calcio, da epoca paleocristiana a giorni ancora nostri.

Firma nerazzurra

Interista ma con fegato integro, il Beppe ha attraversato in punta e tacco le migliori ere del pallone. Da garzoncello scherzoso lui già si occupava negli Anni Sessanta di Grande Inter: un sontuoso esordio di mestiere. Fare il cronista sportivo, a quei tempi, era una faccenda che sconfinava nell’esoterismo, nell’artigianato ambulante e nel piacere di raccontare in primis.

Per un’era geologica il Beppe è stato grande firma de Il Giorno, mai autocompiacendosi in uno svolazzo di stile fine a se stesso. La spezia prediletta da Maseri restava la bonomia, la leggerezza, un traforo di ironia serena e mai increspata nel sarcasmo.

Certo, al Pepòte piaceva leggere il sommo collega Gianni Brera, ma non era tra quelli che si sforzavano di imitarlo a pié di cavallo.

Ironia e leggerezza

Il Nostro raccontava dei suoi asprigni anni di collegio e dell’ammirazione che provava, con legittima invidia, per il primo della classe: "Lui pigliava sempre nove o dieci. Io mi barcamenavo col sei. Una volta volli provare l’ebbrezza del voto altissimo: con la penna pastrugnai un sei trasformandolo in dieci. Ma la beatitudine truffaldina durò poco, i miei a casa non abboccarono e lo riferirono al professore. Che figuraccia: fui sbugiardato davanti alla classe. Vai a spiegare che volevo solo sentirmi, per un pomeriggio, tra gli eletti".

E giù una bella risata. Come quando Pepòte prendeva quietamente in giro un collega che cercava ispirazione per le sue articolesse misurando i corridoi del giornale a passi tardi e lenti: "A un certo punto lo vedevi bloccarsi e alzare l’indice della destra, come a dire: ah, ecco, ho trovato. Altre volte, al colmo dell’ispirazione, staccava dalla tastiera e si guardava le mani, mormorando: Ho paura del mio genio. Ecco, io del mio genio non ho mai avuto paura...". Insomma, se il Beppe aveva bisogno di una spezia, la prendeva da noi droghieri di redazione. Ma sapeva raccontare.

Il piacere di raccontare

Proverbiale il suo resoconto orale sull’ammiraglio Birindelli che venne al Giorno in alta uniforme per sfidare a duello il direttore di allora, Gaetano Afeltra. Ogni volta il racconto si arricchiva di particolari inediti: "E Birindelli disse: Voi, direttore, col vostro commento avete infangato il mio nome e quello della Marina, che io rappressento. Ritenetevi schiaffeggiato! Ma Afeltra replicò: Respingo! Uscieri, accompagnate l’ammiraglio...". Uno spasso. Al Pepòte non si poteva non voler bene. Quando per ribaltoni d’organico e di riassetto lui finì ingiustamente esiliato in cronache locali, tememmo di perderlo: era smarrito.

Le bottiglie con il Paron

Anni dopo, reintegrato nel ruolo, il Pepòte ricominciò le care cronache sportive. Come quell’altra volta che, nell’abisso degli anni Settanta, fu spedito a Trieste per un’intervista a cuore aperto con Nereo Rocco. Il Paron stappò una bottiglia. E cominciò a parlare a ruota libera. Poi stappò un’altra bottiglia. E il Beppe, da buon veneto, non si tirò indietro. Alla fine dell’intervista il Nostro era del tutto brillo. Il Paron, ancora lucidisssimo, chiamò un taxi: “’Compagna ‘sto mona de giornalista. Ma non solo in albergo: portalo fino in camera”. Adieu, Pepòte : grazie per averci voluto bene.