Milano – Il compagno di cella del detenuto di 18 anni morto carbonizzato nel carcere di San Vittore a Milano, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Milano per omicidio colposo. Un'ipotesi tecnica necessaria per procedere con tutti gli accertamenti del caso, tra cui anche l'autopsia sul corpo del giovane. Il giovane morto nel rogo, classe 2006, era entrato in carcere a luglio. Accusato di rapina, era in attesa di processo.
L’ipotesi
L’ipotesi dietro la morte del 18enne è quella di una protesta sfociata in tragedia. Da quanto sta ricostruendo polizia Scientifica e agenti della penitenziaria, i due detenuti che dividevano la cella avrebbero iniziato a dar fuoco ad alcuni oggetti. Fiamme appiccate con un accendino, ma che poi sarebbero divampate. Mentre uno dei detenuti iniziava a gridare per attirare l'attenzione e far arrivare i soccorsi, il 18enne avrebbe trascinato il materasso in fiamme in bagno, forse nel tentativo di spegnere il fuoco, ma sarebbe rimasto bloccato morendo carbonizzato.
Una dinamica tutta da verificare. Per il detenuto sopravvissuto, illeso, è scattata l'iscrizione nel registro degli indagati per omicidio colposo. Un atto dovuto per l'unico testimone oculare di questa storia. Proprio lui, che viene ascoltato dalle forze dell'ordine, potrebbe chiarire - anche in attesa dell'autopsia - come sono andati i fatti.
Chi era la vittima
Per quanto riguarda la giovane vittima, il 18enne era stato assolto due volte, quando era ancora minorenne, per vizio totale di mente. In entrambi i procedimenti a suo carico, sempre per rapina, il ragazzo era stato infatti sottoposto a perizia psichiatrica, risultando incapace di intendere e volere e avendo così accesso alla misura di sicurezza.
"A 15 anni era finito in un campo di concentramento in Libia, esposto continuamente alla violenza", spiega l'avvocato Monica Bonessa che lo assisteva prima che il ragazzo raggiungesse la maggiore età. "Era arrivato in Italia su un barcone con mani e piedi legati. Un'esperienza di cui lui non riusciva nemmeno a parlare. Gli era stato diagnosticato un politrauma in un quadro clinico grave ed era stato ritenuto socialmente pericoloso per sé e per gli altri".