ANNA GIORGI
Cronaca

Morto sul lavoro a 30 anni per un colpo di caldo, nessuno lo aiutò: condannato il responsabile

Accadde a Vaprio D’adda. Un anno di reclusione per il vincitore dell’appalto che non lo aiutò. Il giovane fu adagiato all’ombra e poi gli fu solo bagnata la testa

Il giovane è morto dopo un anno di calvario, era in coma vegetativo

Ancora un morto “di lavoro”. Stavolta è stato un colpo di calore ad essere fatale ad un operaio impiegato in un cantiere edile, rimasto nelle ore più calde esposto ad oltre 36 gradi mentre sistemava il tetto di una casa in costruzione. Condannato a un anno di reclusione, pena sospesa, per omicidio colposo il datore di lavoro titolare dell’azienda che aveva vinto l’appalto, che non prestò al trentenne alcun soccorso.

Questa è la storia di un altro drammatico infortunio dalle conseguenze strazianti per Simone S. che, dopo quel colpo di caldo, prima di morire, restò in coma per oltre un anno. Simone S. era un operaio edile specializzato, stava eseguendo opere di carpenteria per conto della ditta di cui era dipendente a Vaprio D’adda, nella città metropolitana di Milano.

Quel giorno di estate del 2019 stava lavorando sul tetto di una casa, senza alcun tipo di preparazione specifica e senza rispettare alcun tipo prevenzione obbligatoria in materia di sicurezza. Faceva molto caldo e Simone era direttamente esposto ai raggi solari, "senza riparo", sarà accertato dopo la sua morte. Il dramma lo raccontano bene le carte del processo che ha portato alla sentenza di ieri.

Simone nel primo pomeriggio si sente male, ma fa in tempo a chiedere aiuto e ad avvertire i carpentieri, tutti italiani, che stanno lavorando a pochi metri di distanza da lui. La loro superficialità, insieme a quella del datore del lavoro, sarà fatale perché nessuno tra chi è presente chiama i soccorsi. Così, quando il 30enne crolla a terra semi-incosciente, viene semplicemente trascinato in un angolo all’ombra e, siccome non si riprende, i colleghi provano a bagnargli la testa e lì lo lasciano perché "dovevamo finire il nostro lavoro", diranno in udienza.

Poi, dopo circa un’ora, a lavoro finito, risalgono nella parte alta del cantiere per vedere come sta Simone e capire se si è ripreso o se possono fare qualcosa. Solo dopo. Ma il 30enne è immobile, ancora a terra lì dove lo avevano adagiato loro, nella stessa posizione, già in coma irreversibile. Il datore di lavoro dell’azienda a cui era stato appaltato quel lavoro di carpenteria decide allora di chiamare i soccorsi.

Quando arrivano i medici per il 30enne non ci sarà più nulla da fare, lo portano in Rianimazione dove resterà in stato vegetativo per oltre un anno. La prognosi all’arrivo in ospedale è di "shock ipovolemico, ipertermia da colpo di calore con grave celebrolesione acquisita in esiti di edema acuto secondario al colpo di calore".

Ieri, dopo un lungo e travagliato iter processuale che ha accertato la colpa grave di chi era presente quel giorno della tragedia e non ha fatto nulla per evitare l’agonia di un ragazzo, è arrivata la condanna.

Chi gestiva l’appalto dell’attività per colpa grave, imprudenza, imperizia ha omesso di chiamare i soccorsi grazie ai quali l’operaio che aveva solo 30 anni avrebbe potuto essere salvato. Quest’ultima tragedia allunga la scia delle morti sul lavoro.

Nel 2023 sono stati 9 i morti sul lavoro tutti a Milano e provincia. Troppi, perché non è giusto morire sul lavoro ma il dato, in proiezione, è in diminuzione rispetto al 2022 quando in 12 mesi i decessi furono 17. La cifra è stata resa nota una decina di giorni fa dall’Ats Milano nel corso del convegno di apertura della Settimana europea per la sicurezza sul lavoro, a Palazzo Lombardia.