MILANO – La sfida lanciata dai locali della movida rischia di trasformarsi in un pericoloso boomerang. Sì, perché la decisione del Tar di dichiarare inammissibile il ricorso contro i verbali comminati dalla polizia locale un’estate fa tra corso Garibaldi e largo La Foppa ne ha ratificato la validità: sia di quelli da un giorno di sospensione dell’occupazione di suolo pubblico, sia di quelli da cinque giorni elevati per non aver rispettato lo stop precedente. Risultato: alla terza infrazione consecutiva, il regolamento comunale prevede la decadenza immediata dell’autorizzazione. Andiamo per ordine.
La contesa legale riguarda la battaglia dei decibel tra i residenti del condominio di corso Garibaldi 104 e i gestori di bar e pub che affacciano su largo La Foppa. Una battaglia che, a valle di una serie infinita di pronunciamenti dei giudici amministrativi, ha portato il 4 giugno 2021 all’emissione di un’ordinanza restrittiva da parte del sindaco Giuseppe Sala: le regole, in vigore tutti i giorni della settimana, prevedono il divieto di vendere alimenti e bevande dalle 22 alle 6 e il divieto di utilizzare i dehor da mezzanotte alle 6. I cittadini hanno impugnato anche quel provvedimento, chiedendo poi al Tar di far sì che le norme venissero rispettate.
Il 27 marzo 2023, i giudici hanno chiesto alla Guardia di Finanza di scattare una fotografia dell’esistente. Tre mesi dopo, ecco l’istantanea: "Sono state accertate violazioni tra le 22 e le 6 in merito alla somministrazione di bevande/alimenti da asporto e da mezzanotte alle 6 anche in merito all’utilizzo dei plateatici annessi ai relativi esercizi commerciali".
Il 3 e il 4 agosto 2023, è toccato ai vigili, che hanno multato i trasgressori e contestato la sanzione accessoria dello stop di 24 ore all’occupazione di suolo pubblico, da scontare il primo settembre. Finita? No, perché quel giorno i tavolini esterni erano come sempre pieni.
Secondo step inevitabile: alt di cinque giorni. Nel frattempo, i legali degli undici gestori si sono rivolti al Tar con un unico ricorso a nome di tutti. Una sorta di class action. Dopo aver ritenuto insussistente il paventato difetto di giurisdizione, il collegio presieduto da Daniele Dongiovanni ha dichiarato l’istanza inammissibile.
Il motivo? "Nel processo amministrativo, il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con unico atto, è ammissibile solo se sussistano contemporaneamente i requisiti dell’identità delle situazioni sostanziali e processuali e dell’assenza di un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra le parti". Non è il caso di corso Garibaldi: “Il presupposto su cui si fonda la pretesa dei ricorrenti è analogo ma non identico, poiché ognuno è titolare di una concessione diversa, relativa a distinti spazi di suolo pubblico, sicché cambia il titolo di legittimazione e manca quindi una perfetta identità di situazioni giuridiche". Di conseguenza, "non possono escludersi profili di conflitto di interesse in ragione dello svolgimento di attività commerciale in regime di concorrenza".