ANDREA
Cronaca

Natale tra caldarroste e bontà

Andrea

Maietti

In novembre la nostra Bassa è il paese più triste del mondo. Gli alberi sono sogli, l’erba brinata. I corvi si riuniscono sugli arati, lanciando rauche strida.

La gente sente venire l’inverno e senza volere incupisce”: da Gianni Brera il viatico per il mese più mesto dell’anno. La breve breccia del sole di San Martino mortificata, nella memoria, dal trasloco dei pori paisàn.

La baréta dove erano ammonticchiate la madia e le pentole, un tavolo, qualche sedia e il quadretto di Sant’Antonio. Il triplo rosario nel giorno dei Morti.

Ogni tanto qualche scappellotto per i bambini distratti dalle faville ingoiate dalla gola nera del camino. Ma poi il profumo delle caldarroste avrebbe rallegrato lo spazio accanto al fuoco, ricavato da una tramezza di legno con le fessure coperte da giornali vecchi e mai letti da nessuno. Ed ecco dicembre e la trepida attesa della notte di Santa Lucia. La manciata di fieno nel piatto e, il mattino dopo, al posto del fieno, un pugno di noci, un’arancia (purtügal) e, talvolta, persino una stecchetta di torrone di Cremona. Un tempo sembrava non esserci dicembre senza neve.

D’improvviso, nel silenzio della campagna addormentata, un vecchio appeso alla finestra annunciava: fioca!

E allora erano cori estasiati per le strade.

E poi corse sulle sgüiaröle, piste di ghiaccio su cui si scivolava e tombolava, smocciolanti e felici. Sarebbe stato presto Natale, con il presepio di vero muschio sul vano della finestra più grande. Il profumo del cappone nella pignatta, in attesa della tavolata dopo la Messa grande. Chissà se era davvero così buono il mondo?