ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

A Milano più negozi. Ma stanno sparendo le piccole attività

La metropoli in controtendenza: esercizi aumentati del 3% in dieci anni Confcommercio: "Affitti alle stelle, il boom trainato da grandi gruppi"

A trainare le aperture le multinazionali (anche del lusso)

A trainare le aperture le multinazionali (anche del lusso)

Milano – La «retail apocalypse» - ossia la paventata chiusura dei negozi di prossimità – è un incubo che non agita (ancora) Milano. Nel capoluogo lombardo lo stock di esercizi commerciali è cresciuto di quasi il 3% fra il 2013 e il 2023 (passando da 19.154 negozi a 19.661) secondo la fotografia che emerge dai dati Infocamere-Unioncamere, Movimprese. Una vivacità commerciale in controtendenza con le performance non brillanti di altre città metropolitane che registrano cali anche a due cifre percentuali, come Torino (-17%), Roma (-18%) e Bari (-22%), maglia nera.

"Il fatto che a Milano i dettaglianti crescano è sicuramente positivo ma ad aprire sono soprattutto multinazionali e catene per le quali avere una vetrina in città rappresenta il miglior posizionamento strategico, grazie anche al forte flusso di turisti alto-spendenti. Quello che i numeri assoluti non dicono è però il fatto che ad aver tirato giù le serrande negli ultimi anni siano stati soprattutto botteghe e piccoli esercizi a conduzione familiare, spesso rimpiazzati da ristoranti e locali che hanno conosciuto un vero e proprio exploit", riflette Gabriel Meghnagi, vicepresidente di Confcommercio Milano.

In ambito alimentare in forte crescita, nell’arco di un decennio, sono i supermercati (+75%, da 56 a 98) e i minimarket (+53%, da 788 a 1.208), ma al contempo si registra la perdita di 91 panifici. La moda invece è tra le categorie più colpite. Fra il 2013 e il 2023 sono spariti 381 negozi di abbigliamento (Milano è passata da averne 2.276 a 1.895) e 151 rivendite di calzature e articoli in pelle. Contraltare, l’aumento dei grandi magazzini (da 15 a 40). "Le vendite in internet, anche a causa di una politica del reso gratuito, sono state fra le cause della chiusura dei negozi di abbigliamento nel passato, ma negli ultimi tempi il loro peso si è ridotto, complice anche il fatto che molte piattaforme abbiano messo a carico dell’acquirente la spedizione del prodotto da restituire. Invece è sicuramente un fattore di crisi il clima imprevedibile, con temperature che possono essere sorprendentemente miti in autunno o fredde in primavera, rendendo superfluo lo shopping per il cambio di stagione, come le promozioni continue.

Nel capoluogo lombardo gioca un ruolo pure il costo insostenibile degli affitti dei negozi, soprattutto nelle vie a più forte passaggio, con locali lasciati vuoti, persino per anni, da proprietari di immobili, tra cui si annoverano anche fondi di investimento, non interessati a negoziare il canone. Per contrastare il fenomeno bisognerebbe introdurre la cedolare secca per gli affitti commerciali", rimarca Meghnagi. La concorrenza degli e-store pesa anche nella contrazione di cartolerie e forniture per ufficio (ne sono scomparse 146 in un decennio), così come la digitalizzazione dei contenuti si è abbattuta come uno tsunami sulle edicole (a chiudere i battenti in dieci anni sono state in 212). Più contenuta invece, un po’ a sorpresa, la flessione fra il 2013 e il 2023 delle librerie (-7) e dei negozi di articoli per adulti (-6). Prevedibile, in accordo con le nuove abitudini di consumo, la crescita impetuosa delle aziende di commercio al dettaglio per corrispondenza o attraverso internet (+220%, da 777 a 2.488).