
Niccolò Bettarini esce dall'ospedale
Milano, 8 settembre 2018 - Intercettazioni choc. Frasi pesanti che al momento non trovano riscontri. Smentite e polemiche. Al centro c’è ancora il caso di Niccolò Bettarini, accoltellato all’alba del 1° luglio scorso davanti alla discoteca Old Fashion di Milano.
A poco più di due mesi dai fatti, spuntano alcune conversazioni captate dagli investigatori tra il ragazzo e alcuni suoi amici. A uno di loro, il 19enne racconta il 7 luglio «di aver ricevuto la visita dei capi della curva dell’Inter – la sintesi contenuta in un’informativa della Squadra mobile – che gli hanno detto che a San Vittore hanno fatto picchiare i suoi aggressori, li hanno fatti gonfiare come le ‘prugne’ sia dagli sbirri che da quelli dentro». E ancora: «C’è uno dell’Inter che vuole parlare con me e sapere chi è stato ad aggredirmi». Confidenze inquietanti. Accuse gravi. Ma cosa c’è di vero? Gli inquirenti non hanno notizie di denunce per pestaggi avvenuti in carcere ai danni dei fermati per il raid né di incontri in corsia tra il 19enne figlio di Simona Ventura e Stefano Bettarini ed esponenti del tifo nerazzurro. L'avvocato Mirko Perlino, che parla sia a nome del direttivo della Nord che per conto del suo assistito Alessandro Ferzoco (l’unico che frequentava abitualmente lo stadio sui 4 che andranno a giudizio immediato per tentato omicidio), precisa: «I rappresentanti della curva smentiscono assolutamente di conoscere Niccolò Bettarini e soprattutto di aver fatto picchiare i suoi aggressori». E ancora: «Sono andato ieri (giovedì, ndr) a trovare Ferzoco in carcere: garantisco che né lui né gli altri sono stati aggrediti». Ancor più esplicito il comunicato della Curva Nord Milano: «Noi il figlio di Bettarini non lo conosciamo, non sappiamo come sta né chi frequenta né che squadra tifa. Non conosciamo né il padre né la madre né gli zii. In più, le prugne, invece che gonfiarle, solitamente le mangiamo a tavola». Agli atti dell’inchiesta ci sono altre conversazioni. Parlando al telefono, Bettarini jr rivive il film di quella notte. Una volta fuori dalla discoteca, «mi ricordo che noi stavamo andando al paninarolo (venditore di panini, ndr), e poi la Zoe (amica di Niccolò, ndr) ha urlato dall’altra parte della strada e, siccome la Zoe ha urlato, io cioè senza pensarci sono corso. E mi ha detto che stavano prendendo Andrea che va beh sì è mio amico ma non di certo come voi... allora boh sono arrivato da ‘sto albarolo (il riferimento è a uno dei due albanesi poi fermati dalla polizia, ndr) e gli faccio... oh, lo mollate o no? e lui mi fa: hai gli orecchini come i miei e boom da lì fra’...10-15 persone non c’ho capito più un cazzo... e poi no va beh però meglio così...che è andata bene, per come poteva andare». In una successiva telefonata, Niccolò aggiunge altri dettagli: riferisce che il giovane albanese gli si è avvicinato e, dopo aver notato che avevano lo stesso tipo di orecchini, «mi ha dato un buffettino in faccia, io gli ho dato un cartone...». Anche in questo caso, però, c’è un particolare che non coincide con la ricostruzione degli agenti coordinati dal pm Ramondini: quel «cartone» non ci sarebbe mai stato, Bettarini non ebbe il tempo di reagire al blitz improvviso e brutale. Intanto l’avvocato Perlino ha depositato al gip una richiesta di abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna) per il suo assistito Ferzoco, condizionato alla testimonianza in aula di Bettarini e all’acquisizione della sua cartella clinica. Anche i legali degli altri tre – gli avvocati Antonella Bisogno, Simona Uzzo e Daniele Barelli rispettivamente per Davide Caddeo, Andi Arapi e Albano Jakey – dovrebbero presentare nei prossimi giorni analoga istanza al giudice.