Nicolas Ballario, curatore, divulgatore e manager culturale, è cresciuto nella factory di Oliviero Toscani, La Sterpaia, diventando poi responsabile culturale. Uno stretto collaboratore, ha lavorato vent’anni con lui.
E ha curato l’ultima grande mostra Oliviero Toscani. Professione fotografo in omaggio ai suoi 80 anni, a Palazzo Reale, nel 2022. Esposizione che ha totalizzato quasi 50 mila visitatori in poco più di due mesi, un racconto di sessant’anni di carriera. Ottocento fotografie allestite in maniera "minimalista", "ricordo che era piaciuta moltissimo a Oliviero". Fotografie non "scatti" ("gli scatti sono d’ira"), come ha sempre amato correggere Toscani, a quanti gli dicevano così, ritratti entrati di prepotenza nell’immaginario collettivo, con un linguaggio capace di contaminare mondi e codici, e lanciare messaggi importanti su temi come l’uguaglianza tra diverse etnie, la guerra, la lotta all’omofobia, la sensibilizzazione sull’Aids e l’anoressia. Come dimenticare, e siamo nel 1972, il fondoschiena di Donna Jordan con i jeans della marca Jesus e lo slogan “Chi mi ama mi segua“? O, ancora, quella foto che aveva suscitato indignazione “Bacio tra prete e suora“ del 1992, per la campagna di Benetton.
Nicolas Ballario, qual è il suo lascito? "Penso a tutti i ragazzi e le ragazze che sono passati da lui, ha formato intere generazioni. Se invece parliamo in termini di eredità più ampia, direi che ha suggerito al mondo una nuova possibilità. Attraverso la forza delle immagini si poteva osare sino a raggiungere l’inimmaginabile. Ha insegnato a non aver paura della verità. Spingeva il mondo un po’ più in là".
In un momento in cui non c’erano i social... "Ha veicolato messaggi politici, attraverso l’immagine cercava di imporre una visione del mondo plurale, aperta, una visione del mondo che facesse dell’esaltazione delle differenze la vera qualità degli esseri umani. Delle macchine fotografiche non gliene fregava niente. Per lui era solo un mezzo per comunicare. Vedeva già tutto prima, nella testa, con gli occhi, aveva un intuito che non ho più ritrovato in nessun altro nel mondo...".
Per alcuni detrattori accaniti sfruttava le immagini forti per fini commerciali. Che ne pensa? "Si può vedere in modo negativo o al contrario, come lui e come la penso pure io, non usava le tragedie per vendere i maglioni ma usava quella strategia commerciale per parlare dei problemi del mondo. Lui ha capito prima di tutti che attraverso la pubblicità poteva essere contemporanemente in tutti i giornali del mondo, in tutte le strade del mondo e in più poteva anche arricchire il suo committente che gli poteva dare ancora più risorse per poter parlare dei problemi del mondo. Canali che nessuno usava per fare politica".
Era più di un fotografo... "Sì, è stato un intellettuale completo, un artista e un politico".
Tornando alla mostra a Palazzo Reale, è stato un grande omaggio di Milano, oltre a tappezzare la città di sue immagini "Non voleva, mi diceva sempre tu le farai quando sarò morto. Poi forse anche contento per quell’improvvisata del compleanno a febbraio, si è convinto ed è venuta benissimo. Lì, in quella occasione, si è reso plasticamente evidente che era l’unico fotografo a poter vantare quella enorme produzione".
Diceva: "Appartengo ad una generazione di sovversivi. Mi piacerebbe fare di più, ho fotografato 80mila persone, ci sono tutte le altre sul pianeta...Cerco di essere occupato, sino all’ultimo momento della vita". "Era infaticabile. Amava tanto lavorare con i giovani, amava le forze vitali e fresche, gente con cui potersi confrontare. In ogni studio creativo di Milano c’è un pezzo di lui. Burbero, capace di arrabbiature epiche, ma generoso, divertente. E ironico, di un’ironia tagliente. Ci mancherà moltissimo".