Quello che sta accadendo a Pietro e alla sua famiglia è un esempio eloquente di quanto sia rilevante e sottovalutato il problema delle liste d’attesa nella disabilità. Pietro è nello spettro autistico e vive in una comunità psichiatrica in provincia di Como, sebbene sia noto che l’autismo non è una malattia mentale. Non bastasse, Pietro è cresciuto in comunità, ci vive da 13 anni: quando vi è entrato aveva 17 anni, ora va per i 30. Sei anni fa, però, il Dipartimento di Salute Mentale dell’Asst Lariana ha fatto sapere che la comunità psichiatrica non è il posto migliore per lui. Quasi mai lo è per una persona nello spettro autistico. "Dal Dipartimento ci hanno detto che la struttura in cui ancora oggi si trova nostro figlio non è in grado di riabilitarlo – ha raccontato Assunta Aiello, la madre, a Il Giorno –. Così ci hanno chiesto di trovare un’altra soluzione, meglio se un centro per l’autismo". Proprio così: alla famiglia l’onere. Assunta si è attivata e con lei si sono attivati anche i servizi sociali del Comune di Lomazzo, dove risiede. Ma in 6 anni non è stato possibile trovare un centro per il figlio.
Il dato che suscita particolare impressione è il seguente: i centri ai quali è stato chiesto di accogliere Pietro sono 13, ma nessuno di loro ha potuto aprire le porte a questo ragazzo. Il dato mette insieme i centri ai quali si è rivolta la famiglia di Pietro e quelli ai quali si sono rivolti i servizi sociali del Comune. Ed è stato confermato dall’assessorato regionale alla Disabilità sulla base dei report dell’Asst. Tredici centri collocati in tre province diverse: Milano, Como e Cremona. "Sì, ho provato pure nel cremonese – fa sapere Assunta – ma invano. Pietro è in lista d’attesa da 6 anni. Intanto continua a stare in comunità". Per l’esattezza, dei 13 centri contattati, 5 hanno fatto sapere di non essere nelle condizioni di poter accogliere Pietro, altri 6 stanno ancora valutando la richiesta e i due che restano hanno inserito Pietro in lista d’attesa. Assunta, però, vuol capire come sia possibile che una famiglia sia lasciata sola di fronte ad una scelta così importante, in una situazione tanto critica, perché il Dipartimento di Salute Mentale, la stessa Asst, l’Ats, i Servizi Sociali del Comune non si attivino per una soluzione. "Io e mio marito siamo completamente soli".
Né si può attendere oltre. "Pietro sta peggiorando di giorno in giorno, passa il suo tempo chiuso in camera dal lunedì al sabato – ha rimarcato questa madre a Il Giorno –. Esce solo la domenica, quando io e suo padre possiamo andare a fargli visita. Si sta completamente disabituando agli stimoli esterni, riesce a stare solo in zone naturali in cui non c’è quasi nulla". La famiglia di Pietro, nell’attesa che si trovi la soluzione migliore per lui, rilancia, allora, con forza una richiesta più che legittima: che il ragazzo, nella comunità psichiatrica nella quale è costretto a stare, possa avere un educatore "col quale ricominciare un percorso di riabilitazione. Fino a qualche anno fa c’era un operatore, ma da un po’ di tempo a questa parte non più – spiega Assunta –. Ce ne sono due per 6 ospiti e siccome Pietro ha meno bisogno di altri, non è aggressivo, si trova spesso a dover badare a se stesso. Io non riesco a saperlo tutti i giorni chiuso in quella stanza: ha 30 anni, non può e non deve fare questa vita, questo non è rispetto dei diritti delle persone con disabilità".