
Carlo
Danelon*
Se avessi indossato una cravatta, quando ho letto i dati di “Eduscopio”, avrei allentato il nodo. Poi ho capito che si tratta soltanto di una classifica, una retta che ordina i risultati di una competizione. Dunque di una forma estranea, se non contraria, alla cultura. Al che avrei stretto di nuovo il nodo della cravatta e sarei tornato alle mie quotidiane occupazioni. Dalle quali, del resto, non è esclusa una certa competizione: ma questa non bisogna temerla. Anzi. È necessario che valichi i confini della scuola e coinvolga l’intera società: sarà proprio la competizione a salvare dal tracollo una comunità sfibrata dalle classifiche.
È sufficiente che si fondi sul confronto di idee nei termini della ragione e in nome del bene comune. Allora chi compete non allenta il nodo della cravatta, ma si assicura che esca bene la voce. Questo avviene al Carducci in occasione del “debate”, una sfida dialettica tra classi. E questo, in fondo, è anche lo scopo del liceo classico. L’importanza della pluralità di idee e del confronto dialettico rendono l’istruzione classica nemica delle rette. A dimostrarlo, la storia di tutte le sue discipline, una storia di influenze, contaminazioni, echi, deviazioni. Ma cosa può essere più lineare ed estraneo alle deviazioni, alle influenze, in una parola alla cultura, della didattica a distanza? Nulla.
Ha portato i difetti del nostro sistema scolastico al parossismo: è il luogo dov’è possibile zittire e oscurare l’interlocutore, difficile non ignorarlo. Se avessi indossato una cravatta, quando ho saputo che avremmo lasciato le aule scolastiche avrei stretto il nodo in un moderato istinto suicida. L’abbiamo pensato tutti, noi che, pur nell’impagabile pluralità della scuola pubblica, siamo accomunati dalle imposizioni dei genitori, dall’ossessione per il curriculum o dalla predilezione per le materie umanistiche. Io, per esempio, scelsi questa scuola perché amavo la letteratura e odiavo il disegno tecnico. In fondo, anch’io sono nemico delle rette.
*Liceo classico Carducci