Milano, 21 gennaio 2017 - Con un editoriale del suo direttore, «Il Giorno» è stato il primo organo d’informazione a cogliere la straordinaria occasione della candidatura di Milano a ospitare le Olimpiadi del 2028, candidatura lanciata dal presidente del Coni Giovanni Malagò. Come è noto l’opportunità è frutto delle rocambolesche vicende della preesistente candidatura di Roma e della sua bocciatura da parte dei vincitori delle ultime elezioni comunali: il Movimento 5 Stelle e la nuova giunta capitolina della sindaca Virginia Raggi. Tuttavia, il generoso tentativo del Coni di salvare la faccia alle istituzioni italiane e di premiare la passione sportiva del paese malgrado la cecità di chi ne ha privato la capitale, non ha un esito scontato. Vi saranno certamente, come sempre, città e paesi rivali molto competitivi, e questo impone una riflessione approfondita sui limiti da superare e sugli ostacoli da rimuovere per rendere quella di Milano una candidatura davvero speciale. Il Coni, il Governo nazionale, Milano, la Regione Lombardia, eventuali altri soggetti istituzionali e privati devono essere consapevoli di assumere una sfida tanto affascinante quanto difficile. Una sfida per tanti aspetti diversa rispetto a tutte le precedenti Olimpiadi. Una sfida che deve, preliminarmente, far propri la nuova sensibilità e i nuovi criteri che il Comitato Olimpico Internazionale ha posto a guida delle proprie scelte e che ha trasmesso a tutti gli organismi nazionali aderenti. Indubbiamente le nuove regole e i nuovi adempimenti richiesti ai paesi che vorranno candidarsi hanno fatto tesoro delle esperienze passate, anche delle più recenti, dalle Olimpiadi di Atene a quelle di Rio, passando per quelle di Londra. Quello che si chiede ai futuri paesi ospitanti non è l’ennesima riedizione della solita, convulsa gara a chi farà più lobbing e prometterà più impianti nella città candidata da uno dei comitati olimpici nazionali e, magari, da un governo in cerca di prestigio internazionale. Nelle dichiarazioni e nelle interviste del presidente del Cio, il tedesco Thomas Bach, due volte medaglia d’oro della scherma - come la nostra rappresentante Diana Bianchedi - è evidente la volontà di proteggere lo sport olimpico dalla contaminazione di invadenti interessi economici e dalla strumentalizzazione di ambizioni politiche nazionali. Ecco perché nei documenti ufficiali e nei requirements indirizzati a tutte le organizzazioni olimpiche nazionali è conclamato l’obiettivo di scoraggiare la costruzione di opere, di strutture ospitanti e di impianti sportivi faraonici e magari improvvisati, destinati a durare solo per lo spettacolo di tre settimane di gare.
Non si tratta di generici inviti e di raccomandazioni cosmetiche. Si tratta di motivi rigorosi di preclusione per chi non soddisfacendo i requisiti richiesti continuasse a muoversi alla vecchia maniera, spendendo senza controlli per poi lasciare una scia di debiti e magari di denunce (Atene docet). Anche l’indicazione di non concentrare i giochi in spazi urbani ristretti generando congestione e caos da una parte e senso di esclusione in molte altre è precisa e convincente. Emerge per contrasto l’idea originale che i giochi olimpici siano diffusi e policentrici, che coinvolgano una pluralità di luoghi e sfruttino tutte le risorse esistenti di un vasto territorio. Eventuali lacune nell’offerta al pubblico che verrà da tutto il mondo e nel patrimonio di attrezzature sportive disponibili possono essere colmate con un parco ricorso a investimenti mirati e selettivi. Il Cio suggerisce di por mano a opere che durino nel tempo, pensate per la fruizione degli amanti non solo di tutte le discipline sportive ma più in generale per un pubblico fruitore di spettacoli e di cultura. In un'epoca in cui lo sport sottomesso al business ha travolto l’originario, autentico spirito delle Olimpiadi, il richiamo del Cio è tanto più opportuno quanto più controcorrente. Il teatro e il significato propri delle Olimpiadi non sono quelli veicolati da strutture di cartapesta, dallo spietato agonismo professionale, dai record conquistati da inavvicinabili super uomini e super donne disposti a tutto, anche a doparsi, pur di vincere. Il messaggio dei giochi può, deve, essere un altro e comincia dallo sposare lo spirito giusto e dal progettare un contesto appropriato. (1 - continua)