Milano – Ancora un processo, 48 anni dopo. Era l’estate del ’75 quando la studentessa Cristina Mazzotti venne rapita e uccisa: ieri si è aperta l’udienza preliminare seguita a una nuova inchiesta giudiziaria, la terza e ultima, in cui tra esecutori e ideatori sono imputate quattro persone. C’è il boss di ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, 78 anni, residente nel Varesotto, ci sono Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, pure loro ritenuti vicini a cosche calabresi.
Davanti al gup Angela Minerva, ieri il fratello e la sorella della giovane vittima si sono costituiti parte civile. Le difese hanno inoltre chiesto una integrazione documentale e i difensori di Morabito e Latella hanno ventilato la possibilità di proporre il rito abbreviato. Il giudice ha quindi rinviato l’udienza al prossimo 21 giugno. Cristina, allora 18enne, la notte del primo luglio del 1975 venne rapita da un commando della ‘ndrangheta mentre, in compagnia di alcuni amici, stava rientrando nella villa di famiglia a Eupilio, in provincia di Como.
Il primo settembre successivo una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate (Novara) dove fu trovato il cadavere. La ragazza era morta per le dosi troppo abbondanti di valium che le avevano somministrato. Il primo della banda fu arrestato mentre tentava di riciclare in Svizzera parte del riscatto. A seguire vennero individuati altri fiancheggiatori, quasi tutti personaggi sbandati con un passato difficile, tra cui due donne.
Tredici persone sono già state condannate nel corso degli anni. Per il pm Stefano Civardi, che ha riaperto il caso, Morabito sarebbe stato l’ideatore e avrebbe fornito anche un’auto che servì da civetta per segnalare l’arrivo della Mini Minor della vittima e per "fare da staffetta verso il luogo" della prigionia. Quello di Cristina Mazzotti fu il primo rapimento dell’Anonima sequestri nel Nord Italia.