
Dawda Bandeh (a sinistra), arrestato con l’accusa di aver ucciso Angelito Acob Manansala (a destra)
Milano – Non è una versione dei fatti convincente quella fornita da Dawda Bandeh, il gambiano di 28 anni arrestato con l’accusa di aver ucciso Angelito Acob Manansala, collaboratore domestico trovato senza vita in un’abitazione di via Randaccio a Milano il 20 aprile. Il giudice per le indagini preliminare di Milano Domenico Santoro ha convalidato il fermo emesso dalla polizia e disposto la custodia cautelare in carcere per il giovane, su richiesta del pubblico ministero Andrea Zanoncelli.
Durante l’interrogatorio di convalida, Bandeh, assistito dall’avvocata Federica Scapaticci, ha fornito un racconto dei fatti che non ha convinto il giudice. “Quando mi sono svegliato ho fatto il giro della casa e ho visto quest’uomo nella stanza sulla sinistra”, ha dichiarato l’accusato. “Sono andato verso l’uscita, dove c’erano le valigie e un borsello che ho preso. Poi ho preso dei vestiti che ho indossato. Poi ho sentito che si apriva la porta e mi hanno sparato un taser addosso”.
Secondo quanto emerge dall’ordinanza del giudice, Bandeh ha ammesso di aver mangiato e bevuto nell’abitazione, fatto una doccia, essersi cambiato indossando abiti trovati nell’armadio e aver dormito, ma ha negato di aver commesso l’omicidio. Il ventottenne ha sostenuto che al suo risveglio, dopo aver fatto “il giro della casa”, ha visto un uomo riverso a “terra” e per lo spavento ha deciso di uscire, ma si è ritrovato circondato dalla polizia.
Bandeh ha affermato di non sapere cosa fosse “successo” e ha descritto quei giorni come “confusi” a causa della pioggia e del freddo. Ha anche aggiunto di aver “visto una pianta a terra”, “pezzi di una scopa rotta”, “ma non la persona morta”.
Il giudice, nel suo provvedimento, ha parlato di “gravi indizi” contro l’indagato. Sebbene Bandeh abbia accennato a una condizione di disorientamento, il giudice ha sottolineato che “in questa primissima fase – e fermi gli accertamenti che le parti riterranno di condurre al riguardo come esami di tipo psichiatrico – non si possono non considerare alcuni elementi che fanno ipotizzare una lucida azione”.
Le indagini hanno rivelato che il giovane gambiano è entrato nel giardino dell’abitazione alle 8:38 del mattino, per poi allontanarsi per circa un’ora, tra le 11:32 e le 12:43, prima di farvi ritorno e rimanervi fino all’arrivo dei poliziotti alle 18:00. Le forze dell’ordine sono state allertate dal proprietario dell’abitazione, un israeliano di 52 anni, rincasato con la famiglia.
Tra gli elementi che contraddicono la versione dell’indagato, il giudice ha evidenziato che Bandeh si è cambiato i jeans che aveva addosso, riponendoli piegati, per indossare un paio di pantaloni beige trovati in casa. Inoltre, è uscito e rientrato nell’abitazione, dove si è impossessato di un portafoglio contenente 90 euro e 3.000 dollari custoditi in un armadio, lo stesso luogo dove è stato trovato morto il collaboratore domestico.
Prima dell’episodio in via Randaccio, secondo quanto emerso, il giovane gambiano era stato sorpreso in “varie abitazioni”, fermato e rilasciato, il che indica un comportamento problematico già nei giorni precedenti all’omicidio. La vittima, Angelito Acob Manansala, lavorava come collaboratore domestico nell’appartamento di proprietà del cittadino israeliano. Il corpo è stato scoperto solo al rientro della famiglia, che ha immediatamente allertato le forze dell'ordine.
Il caso ha suscitato forte impressione a Milano, con le indagini che proseguono per chiarire tutti gli aspetti della vicenda, inclusa l’esatta dinamica dell’omicidio e le circostanze che hanno portato il ventottenne a introdursi nell’abitazione. La difesa potrebbe richiedere accertamenti di tipo psichiatrico per valutare la capacità di intendere e di volere dell’indagato al momento del fatto. Per ora, Dawda Bandeh rimane detenuto nel carcere di San Vittore con l’accusa di omicidio, in attesa degli sviluppi processuali.