MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Lo scrittore Jonathan Bazzi: “Morire per 15 euro a Rozzano? Non mi stupisce. Qui ci sono cresciuto”

Il finalista del Premio Strega 2020 sull’omicidio di Manuel Mastrapasqua: “Il mio paese è diverso da Milano. La violenza nasce dove non c’è speranza”

“Io a Rozzano sono cresciuto. Adesso vivo altrove ma, ogni volta che torno, sento sempre la stessa atmosfera. La presenza di un’umanità “altra“, separata dalla città. Vedo persone accomunate da storie e fragilità simili concentrare in un microcosmo a sé. Ed è difficile creare circoli virtuosi in un contesto così. Sognare un futuro, nutrire speranze. Anche di questo si alimenta la violenza. Alla luce di ciò, quel che è capitato non mi stupisce”.

Lo scrittore Jonathan Bazzi intervistato sull'omicidio di Rozzano in cui ha perso la vita Manuel Mastrapasqua
Lo scrittore Jonathan Bazzi intervistato sull'omicidio di Rozzano in cui ha perso la vita Manuel Mastrapasqua

A dirlo è lo scrittore Jonathan Bazzi, finalista al Premio Strega 2020 con il suo Febbre ambientato proprio a Rozzano. “Un paese visto un po’ come il Bronx del sud di Milano. Dello spaccio, dell’illegalità, delle famiglie venute dal Sud Italia e ora di una nuova popolazione di immigrati in arrivo da altre parti di mondo”. Non lo stupisce, dice, il delitto di venerdì notte: Manuel Mastrapasqua ucciso a 31 anni per un paio di cuffie da 14 euro. Un omicidio confessato da Daniele Rezza, diciannovenne, che ha potuto contare sull’appoggio del padre, il quale avrebbe gettato via le cuffie della vittima e fatto finta di nulla davanti all’ammissione del figlio, accompagnadolo pure alla stazione.

Che pensa dell’atteggiamento della famiglia?

“Non mi meraviglia il comportamento del padre: siamo in un contesto in cui spesso si tende a pensare solo a se stessi. In cui, sentendosi abbandonate dalle istituzioni e non credendo nel loro valore, le persone si sentono legittimate a “fare da sé“. C’è una grande sfiducia nelle istituzioni, che purtroppo si trasmette da una generazione all’altra. Il tasso di dispersione scolastica è tra i più alti del Nord Italia, e già questo fa riflettere. Tutto si traduce in un grande senso di accettazione, come se fosse impossibile cambiare le cose, perché Rozzano è Rozzano. Diversa da Milano, dal centro, in cui “la gente sta bene“, può decidere dove andare a mangiare o dove trascorrere le vacanze”.

Il sindaco ha difeso la città dicendo che non è sinonimo di criminalità. Condivide il pensiero?

“Io non sono d’accordo con il sindaco, perché sembra che non voglia affrontare il problema, come se fosse un’allucinazione o un ologramma. È vero che il paese non è “solo illegalità“. Ma nessun paese può essere solo illegalità: qualcosa di buono c’è ovunque. Ma non si può negare che ci siano palazzoni, cortili, strade, in cui si concentrano fragilità. In cui è facile imbattersi in qualcuno che è abituato a uscire con un coltello in tasca”.

E lei come si è salvato?

“Io non ho meriti. Io sono nato così, fin da piccolo ho considerato il mondo e non solo il mio paese. Io mi sento di Rozzano ma nello stesso tempo ho sempre sognato in grande. Penso poi di aver trasformato una mancanza in un punto di forza: non ho avuto una famiglia molto solida. Quindi mi sono subito proiettato al di là del luogo in cui ero. Mi sono abituato presto a non essere condizionato dal contesto”.

Come salvare gli altri?

“Non è facile uscire da un circolo vizioso. Pensiamo anche solo alla storia di questo posto, con palazzoni staccati dalla città eppure vicini. Bisogna spezzare un incantesimo: intanto, rivoluzionando le case, creando un mix sociale. Arrivare alla contaminazione virtuosa. E poi con la cultura: pochissimi leggono o comprano libri. E fa pensare il fatto che, per trovare una libreria, occorra andare al centro commerciale”.