GABRIELE MORONI
Cronaca

Giustizia negata alla piccola Matilda: nessun colpevole per la sua morte

Per la Cassazione inammissibile il ricorso della madre della bimba di 22 mesi contro l’assoluzione dell’ex compagno

Matilda Borin

Milano, 6 febbraio 2021 - Sedici anni dopo la giustizia segna la sua resa definitiva. Nessuno provocò la morte di Matilda Borin, ventidue mesi appena. Nessuna delle due persone che erano con lei sferrò quel terribile colpo (forse un calcio) che le spappolò la milza e provocò il distacco del rene destro e danni costali. Un "gesto di stizza", perché almeno su questo sono tutti concordi: chi colpì Matilda non lo fece per uccidere. La quinta sezione penale della Cassazione ha fatto sua la richiesta del sostituto procuratore generale Francesca Loy e dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali di Elena Romani, madre di Matilda, parte civile contro l’assoluzione dell’ex compagno Antonino Cangialosi.

Era il pomeriggio del 2 luglio 2005, in una casa colonica a Roasio, nelle afose campagne vercellesi. Erano in due con la bambina, ma per la giustizia nessuno dei due è colpevole di omicidio preterintenzionale. Non Elena Romani, all’epoca 31 anni, hostess di Legnano, che aveva avuto la figlia dall’unione, poi naufragata, con un uomo di Busto Arsizio: definitivamente assolta. Non quello che era il suo nuovo fidanzato, Antonino Cangialosi, 33 anni al tempo, un passato di bodyguard, oggi impiegato nelle logistica, già prosciolto due volte e assolto sia dal gup di Vercelli, sia dalla Corte d’assise d’appello di Torino per non avere commesso il fatto.

"Mi spiace di non aver dato giustizia a Matilda – dichiara la madre – So di non aver fatto nulla alla mia piccola, ancor prima delle sentenze è la mia coscienza a dirmelo. Sono andato in carcere pur di affermare la verità". "Da una parte - commenta l’avvocato Tiberio Massironi, che assiste la donna con il collega Roberto Scheda - c’è la soddisfazione perché Elena è uscita completamente scagionata. Dall’altra l’amarezza perché contro Cangialosi lo Stato è mancato. La pubblica accusa c’è stata solo per il giudizio di primo grado". L’autopsia non accenna a una lesione ai grossi vasi riscontrata invece dal consulente della parte civile su uno. Il sangue è defluito rapidamente e quindi i tempi della perdita dei sensi da parte di Matilda sarebbero compatibili con i tre minuti che Elena Romani trascorse fuori dall’abitazione per lavare un cuscino sporcato dal vomito della bambina. Matilda rimase sola con Cangialosi. La sentenza esclude che il colpo abbia raggiunto il nervo vago, protetto dalla colonna vertebrale: circostanza che avrebbe provocato un immediato mancamento.

Diversa la ricostruzione della parte civile: è vero che la bambina è stata colpita da dietro, ma in quel momento appoggiava l’addome su una superficie rigida (forse la spalliera del divano) e quindi è come se avesse ricevuto il colpo anche davanti. Erano .intrise di tristezza le parole del sostituto procuratore generale Marcello Tatangelo mentre chiedeva alla Corte d’Assise d’appello di Torino di ribadire l’assoluzione di Cangialosi: "Il fatto che dopo tredici anni non si sia potuti arrivare a un giudizio di colpevolezza sulla morte della piccola Matilda è una sconfitta per tutti noi che ci siamo occupati del caso e una sconfitta del sistema giudiziario, ma condannare un innocente sarebbe ancora peggio". Un’amarezza raccolta dalla motivazione della sentenza, redatta dal giudice relatore Gianni Macchioni e firmata anche dal presidente Fabrizio Pasi. "Uno dei due è certamente colpevole: perché certamente o uno o l’altro ha mentito, dal momento che entrambi hanno negato di aver colpito Matilda".