
Angelito Acob Manansala morto a 61 anni durante un furto nella villa di via Randaccio in cui lavorava
Milano, 24 aprile 2025 – “Zio Lito non era semplicemente “un domestico“. Non gli si può mettere un’etichetta: è stato un climber, un soccorritore, amava la moto e la bicicletta. Era un padre, era un uomo innamorato, era un amico. L’uomo più buono che abbia mai incontrato. Soprattutto, amava la vita. È riduttivo definirlo “domestico“. Chi gli voleva bene ora ha il cuore spezzato. Me compresa. Lo chiamavo “zio“ anche se tra noi non c’era un legame di parentela. Era un grande amico di mio padre. Usare il passato riferendomi a lui mi strazia, dire “era“ fa troppo male”. J., ventunenne, è nata nelle Filippine ma vive nell’hinterland di Milano fin da quando era piccolissima.

"Non posso accettare che non ci sia più”
Da domenica non fa che pensare alla disgrazia, al fatto che “Zio Lito“, Angelito Acob Manansala, di 61 anni, non ci sia più. Ucciso nella villa di via Randaccio dove stava prestando servizio, accudendo i due cani e il gatto dei proprietari in vacanza. “Sono ancora scioccata, non mi capacito”, dice la ragazza. Ci tiene però a sottolineare “chi fosse davvero Angelito”. E comincia raccontando che nelle Filippine “Zio Lito ha gestito per anni una palestra di arrampicata. Era istruttore. Insegnava agli altri ad arrampicarsi sulla parete, al chiuso.

La passione per lo sport
Lui invece si allenava all’aperto, sulle montagne. Nel periodo Covid è stato durissimo tenere aperta la sua attività e a un certo punto, quando le restrizioni sono diventate incompatibili con il mantenimento della palestra, l’ha dovuta chiudere. Nello stesso tempo si è dedicato al volontariato: è diventato soccorritore usando le sue energie e capacità per aiutare gli altri”.

Gli affetti
Sentimentalmente, chiusa la sua precedente relazione, si legò a Laurelia, conosciuta nelle Filippine, connazionale che già viveva a Milano da anni. “E ha usato tutti i suoi risparmi per raggiungerla. Io ho visto Laurelia nei giorni scorsi: è disperata, noi amici le staremo accanto”. Quanto al matrimonio fissato per ottobre, “non ne sapevo nulla. Probabilmente lo avevano deciso tra loro senza ancora comunicarlo ufficialmente. Altro motivo di tristezza, sapere che anche quel momento felice non ci sarà più”. J. aveva visto Angelito per l’ultima volta durante una cena in famiglia. “Veniva spesso a mangiare a casa nostra. Era gentile, altruista, riservato ma sempre amichevole con le persone a cui voleva bene”.
Il ritorno in patria
Lunedì, la compagna, con la quale Angelito abitava nella zona nord della città, tra Niguarda e Bicocca, è stata a colloquio con il console delle Filippine. Il suo desiderio ora è riportare la salma del suo amato in patria, al più presto. A Milano ci sarà una semplice cerimonia mentre l’ultimo saluto sarà nel suo Paese, dove ad attenderlo ci sono anche i suoi due figli. “Uno dei quali – dice J. – ha avuto un incidente in moto proprio nei giorni scorsi e sarebbe dovuto essere operato nel giorno di Pasqua”.
La rabbia
La ragazza non nasconde la rabbia. Non solo per la tragedia ma anche “per certi commenti che sto leggendo sui social. Perché c’è chi sta strumentalizzando l’accaduto”. Poi continua: “Zio Lito ha perso la vita, purtroppo, e io non giustificherò mai chi lo ha ucciso. Però mi domando: Dawda Bandeh poteva essere fermato? Forse sì. Forse c’erano tutti i presupposti perché fosse messo nelle condizioni di non fare del male. Perché venisse aiutato. E forse, ora, Zio Lito sarebbe ancora con noi”.